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In occasione dell’Eurovision Song Contest, una manifestazione internazionale musicale, vince la canzone del cantante svizzero Nemo con il titolo The Code, un brano pop-rap che evidenzia il problema del rifiuto del codice binario maschio/femmina che impone la registrazione dei bambini o bambine al momento della loro nascita. Potrebbe, forse, essere necessario capire che cosa sia questo tema affrontato da Nemo nel suo pezzo musicale.
Prima della manifestazione il cantante aveva detto: “Trovare la mia identità è stato periglioso e intricato, ma niente è meglio della libertà che si percepisce nel momento in cui dichiari di essere fuori ’dai binari’”. Siamo nell’ambito dell’identità di genere e di tutti coloro che fanno parte della comunità LGBTQ +. La legge in vigore nel nostro Paese è legata alle caratteristiche fisiche che fanno sì che alla nascita una persona venga identificata, attraverso un sistema esclusivamente binario, come maschio o come femmina. Si esprime così un ordine binario dei sessi profondamente radicato e accettato nella nostra società, influenzata da diversi contesti culturali, religiosi, storici, da esperienze biologiche e da attitudini che ne conseguono.
Per molti, che sono favorevoli al binario maschio/femmina, questa registrazione è una fonte di identità e di protezione. In caso contrario, si verrebbe ad istituzionalizzare legalmente, una specifica identità di genere che non ha alcun riconoscimento normativo nel nostro ordinamento e che provocherebbe una vera e propria stigmate legale della persona, dalle conseguenze psicologiche e sociali imprevedibili e rischiose. Altre tesi sottolineano, al contrario, che la binarietà (M/F) esercita una influenza normativa inappropriata, un effetto stringente per molte persone ed una limitazione alle scelte possibili di vita.
É nel pensiero post moderno che la categoria gender porta con sé la critica al binarismo sessuale, che, come detto, ritiene che i sessi siano due e opposti. Al contrario le teorie gender (fra i suoi primi esponenti John Money) esaltano il poliformismo sessuale e il pansessualismo, affermando la irrilevanza della differenza nella determinazione della identità di genere, ma anche della irrilevanza della differenza sessuale nella relazione interpersonale, nelle unioni coniugali e paraconiugali, nella costituzione della famiglia. D’altronde la realtà conferma che i casi di ambiguità sessuale alla nascita mostrano che anche la determinazione del sesso biologico non è univoca. I casi di rivendicazione trans–gender, d’identità neutra di uomo o donna sono psicologicamente, socialmente sempre più in crescita e in diversi Paesi è sempre più accettata l’ambiguità del corpo che presenta caratteri sia maschili sia femminili, o forse né maschili né femminili. D’altronde per questi autori il riconoscimento della diversità di forme di vita conduce inevitabilmente al rispetto del principio di “non discriminazione” o “divieto della discriminazione”, che si ritrova in numerosi sistemi giuridici. In genere la tendenza ad abolire il binario classico conduce verso l’ipotesi (c.d. trinaria) di introdurre una o diverse nuove categorie sessuali, oltre a quella maschile o femminile (es. “diversi”; “altro”; “X”).
Comunque, una nuova categoria di iscrizione con una o più significati potrebbe rimanere pur sempre un vantaggio, come avviene in Germania, a Malta e in altri Paesi, in quanto consente la visibilità di persone intersex e di persone che hanno un’identità di genere non binaria all’interno della società, e questo può contribuire alla loro accettazione e promuovere una ragionata riflessione dello Stato sull’opportunità o meno del carattere binario della società.
Una terza ipotesi potrebbe essere quella, più consona alle teorie gender, di un “abbandono generale dell’iscrizione del sesso”, particolarmente idonea a evitare la discriminazione delle persone con identità di genere non binaria, delle persone trans e delle persone intersessuate, che permetterebbe di promuovere nei diversi campi un uguale trattamento e analoga protezione della sfera privata.
Gli appelli a considerare l’importanza o meno dell’iscrizione del sesso nel registro dello Stato Civile occupa un posto sempre più importante nell’ambito del dibattito internazionale che invita gli Stati a sopprimere progressivamente le informazioni relative al sesso dai documenti di identità, considerate non necessarie per lo Stato civile. I Paesi Bassi hanno già esaminato questa possibilità e sono arrivati alla conclusione che alcune norme giuridiche internazionali non si oppongono all’abbandono della registrazione del sesso. Alcuni Paesi sono portati già adesso a rinunciare a menzionare il sesso sulla carta d’identità.
Rinunciarvi completamente, rimettendo così in discussione il significato del sesso come carattere fondamentale della persona, garantirebbe che tutte le varianti dell’identità di genere possono essere prese in considerazione senza discriminazioni e che nessuna giustificazione sia richiesta da parte di persone la cui identità di genere si allontani dalla registrazione binaria. Una tale opzione sarà più compatibile con le esigenze di protezione della vita privata. Certo è che, nel valutare l’opportunità o meno di una registrazione binaria, trinaria o senza riferimento al sesso, va soprattutto considerato il rispetto della “dignità umana”. Che in quanto principio giuridico ed etico fondamentale segna un’importanza di primo piano nell’attuale discussione. Prevale, soprattutto, l’esigenza che tutti gli esseri umani debbano essere trattati e rispettati come liberi e uguali di fronte al diritto e alla società. Questa esigenza include quella di dare a ciascuna persona la possibilità di vivere in accordo con la propria identità.