Sono stati, come si usa dire, in ballottaggio. E non per poco: Carlo Nordio ha guadagnato la pole position su Giulia Bongiorno, nella corsa alla carica di guardasigilli, solo negli ultimi giorni precedenti il giuramento. Dopo alcune settimane di relativo silenzio, la senatrice leghista, ora presidente della commissione Giustizia di Palazzo Madama, ha rilanciato il dualismo. Prima con un distinguo piuttosto netto sull’abuso d’ufficio, che lei ritiene debba essere modificato ma non abrogato, diversamente da Nordio che considera plausibile anche la seconda ipotesi. Quindi Bongiorno ha marcato la distanza sulle intercettazioni, con una linea più “conservativa”, soprattutto sui reati di corruzione, che sembra interferire con la coraggiosa battaglia del ministro.

La plenipotenziaria di Matteo Salvini sulla giustizia fa rumore anche perché la temperatura sulla questione degli “ascolti” si è innalzata paurosamente dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro. In altri tempi si sarebbe parlato di subgoverno. Oggi quell’espressione vagamente spregiativa non ha senso. Al più Bongiorno può essere considerata una atipica, perché interna alla maggioranza, “guardasigilli ombra”. Diverge, certo, a volte sembra sconfessare apertamente Nordio. Ma verrebbe da dire che fa bene la propria parte, persino dal punto di vista di chi condivide in pieno la “rivoluzione copernicana” (e garantista) annunciata dal ministro. Da decenni, forse, non si assisteva a un sano spirito di concorrenza, a un così alto livello, fra un guardasigilli e un altro rappresentante della maggioranza. La competizione fa bene, anche se Bongiorno sbilancia l’indirizzo in chiave restrittiva rispetto al garantismo di Nordio. Ma l’esponente della Lega lo fa con argomentazioni serie, magari non condivisibili ma certamente strutturate.

Dopo anni in cui la giustizia si era ridotta ad approssimazione, soluzioni pasticciate, impennate giustizialiste fini a se stesse, la gara Bongiorno-Nordio restituisce credibilità a una politica rimasta per troppo tempo sotto lo sguardo irridente della magistratura.