Dobbiamo aver paura di Elon Musk? Viaggi spaziali, satelliti, auto elettriche, comunicazione globale, neuroscienze e nanotecnologia, intelligenza artificiale: nell’epopea del capitalismo trionfante probabilmente nessun uomo ha mai concentrato tanta ricchezza, ma soprattutto tanto prometeico potere, nelle proprie mani. Un indecifrabile incrocio tra un capitano di industria come Henry Ford, un inventore, imprenditore e fabbricatore di brevetti come Thomas Edison (anche se lui si identifica con lo sfortunato rivale Nikola Tesla) e Lex Lutor, l’inquietante villain di Superman. Anche perché chi può cambiare il mondo, con altrettanta facilità potrebbe distruggerlo o comunque renderlo un posto peggiore.

Oggi Elon Musk può vantare un patrimonio personale di 232 miliardi di dollari che ne fa la persona più ricca del pianeta, circa cinquanta miliardi in più del secondo classificato, il francese Bernard Arnault, magnate del lusso. Ma non è tanto l’astro-nomico conto in banca a fare la differenza anche perché, come ha sempre rivendicato: «I soldi mi servono soltanto per creare qualcosa di nuovo, qualcosa di mai visto, altrimenti non saprei davvero che farmene». L’ossessione nell’ideare e realizzare progetti futuristi, di proiettarsi con lo sguardo in avanti di decenni, di vedere cose che nessun altro vede e di rischiare miliardi in territori e in mercati poco più che immaginari ne fanno un caso unico, come unico è il suo modo di ragionare, visionario e concreto allo stesso tempo.

Elon Musk è nato a Pretoria 52 anni fa, il Sudafrica bianco e segregazionista non era quel che si dice un luogo stimolante, l’unica attrazione per i ragazzi del suo ambiente è il rugby, autentica religione di Stato, ma la palla ovale non fa proprio per lui. Così Elon trascorre le giornate nella sua cameretta, divorando libri di fantascienza, smanettando sul suo Commodore Vic-20, costruendo modellini di razzi spaziali con plastica e cartone e concedendosi talvolta qualche svago, come una partita a Donjons et Dragons, all’epoca il gioco di ruolo più popolare tra i ragazzi; insomma il classico adolescente solitario e un po’ nerd, come da manuale bullizzato dai compagni di classe più aitanti e sportivi. A soli 12 anni crea e programma, in linguaggio basic, il suo primo videogioco, uno sparatutto sulla falsariga del celeberrimo Space Invaders, guadagnando così i suoi primi 500 dollari dalla rivista specializzata PC and Office Technology.

I genitori intanto si separano ma mantengono buoni rapporti e lui fa la spola tra Pretoria e Johannesburg anche se la maggior parte del tempo sta con il padre, passando le poi estati sulle belle spiagge di Durban. E continuando a leggere con passione, continuamente, come racconta il fratello minore Kinbal con cui Elon ha un rapporto privilegiato, «fino a due libri al giorno»; c’è sempre l’amata fantascienza, Asimov, Dick, il suo romanzo preferito è Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams, ma anche la storia, la filosofia, ingegneria, l’economia, il design, la programmazione informatica, naturalmente. Tra i banchi scolastici non è propriamente un drago, gli basta la sufficienza, la curiosità sfrenata per qualsiasi argomento, la memoria prodigiosa e un quoziente intellettivo fuori dal comune, sembrano dotazioni superflue per il corso sonnolento e didascalico delle lezioni, è troppo concentrato sui suoi pensieri. «La scuola serve a divertirsi e a imparare a svolgere compiti noiosi, se hai un diploma in una buona università probabilmente sei anche bravo, ma non è affatto necessario, Bill Gates e Steve Jobs non lo avevano e sono dei geni».

Il padre Erroll, ingegnere elettromeccanico e membro del partito progressista, raccontò in un intervista al New York Times che in famiglia tutti avevano coscienza delle ingiustizie sociali e razziali, dei piccoli grandi orrori dell’Apartheid. Anche il liceo che frequenta, la prestigiosa Pretoria Boys high school che tra i suoi insegnanti annoverò il filosofo John Stuart Mill, è diretto da un élite bianca contraria al regime razzista con un preside “mandeliano”, schierato senza esitazioni da parte dei movimenti di liberazione.

Dopo il diploma, a 17 anni, Elon comunica ai genitori di voler lasciare il soffocante Sudafrica per trasferirsi negli Stati Uniti, la Babilonia dell’economia, il luogo dove tutto può accadere. Ottiene la nazionalità canadese grazie alle origini della madre Maye Haldeman, una ex modella diventata poi nutrizionista, e vola a Kingsdom in Ontario, iscrivendosi alla Queen’s University. In questo modo riesce anche a evitare il servizio militare di leva. È quello il sistema più rapido per poter approdare prima o poi negli Usa.

Si paga gli studi da solo con qualche lavoretto per piccole ditte di informatica; il padre che voleva rimanesse a Pretoria, gli ha infatti tagliato i viveri. Poco male. Nel 1992, a 21 anni, ottiene una laurea in amministrazione aziendale e finalmente varca la frontiera americana, il sogno si è realizzato. Oltreoceano vanno pazzi per storie del genere, per la mistica del self made man e per chi fa apparire il loro affascinante e contraddittorio Paese come una terra promessa.

Si iscrive all’Università della Penssylvania a Philadelphia dove frequenta corsi di fisica e di economia. Tre anni dopo vince una borsa di studio per un dottorato in fisica energetica nella celebre Università di Stanford, una delle migliori al mondo. Tutto sembra predisposto per una carriera accademica ricca di soddisfazioni, ma la permanenza di Elon a Stanford è alquanto simbolica: appena tre giorni.

Proprio in quel periodo infatti negli Stati Uniti sta esplodendo il fenomeno internet, una rivoluzione di cui il giovane Musk comprende tutte le potenzialità. Inizia così il viaggio nell’avventuroso mondo imprenditoriale all’alba della grande trasformazione digitale. Musk attraversa l’America in automobile per raggiungere la California, l’eldorado della new economy, con la sua Silicon Valley dove le imprese high tech stanno spuntando come funghi.

Nel 1995 fonda Zip2, una piccola compagnia che sviluppa software online per le imprese; sono anni duri, pieni di sforzi e con pochi riscontri. Nel 1999 crea X.com, un prototipo di banca online, ma soprattutto l’anno successivo acquista migliaia di azioni della società di pagamento online Pay-Pal. In pochi conoscevano PayPal che arrancava nei pigri meandri di un web ancora vergine e dove il denaro circola ancora pochissimo, nessuno ci avrebbe scommesso un penny su PayPal, ma Elon, che sa vedere cose che nessun altro vede, capisce che in pochissimo tempo sarebbe stata un fenomeno mondiale: PayPal sarà rivenduta nel 2002 a Ebay all’astronomico prezzo di 1,5 miliardi di dollari, nel conto di Musk, che nel frattempo era stato licenziato da general manager per il suo carattere non proprio affabile, entrano 182 milioni. Che vengono immediatamente reinvestiti per nuovi ambiziosi e immaginifici progetti; uno come Musk di lussuose e pacchiane ville sull’oceano, di yacht monumentali e altri sfarzi da arricchito non sa proprio che farsene. Acquista un jet privato, certo, ma solo per ridurre i tempi e ottimizzare il lavoro.

Un’altra sua ossessione quella del tempo che, dall’epoca di Benjamin Franklin, negli Stati Uniti protestanti equivale al vil denaro. Nei primi mesi di Zip2 quando non aveva un dollaro, Musk dormiva in ufficio e lavorava 20 ore al giorno, anche la sua fidanzata, se voleva vederlo, era costretta ad andare negli squallidi locali di X.com: «Se i tuoi competitor lavorano cinquanta ore alla settimana tu devi lavorarne cento, non per migliorare di poco un prodotto simile, ma per realizzarne uno tutto nuovo, infinitamente migliore, il segreto del successo sta nella quantità di tempo che si dedica a un progetto, nella capacità di concentrazione per non perdersi in problemi laterali e ovviamente nel talento di chi partecipa all’opera». Concentrazione è un altra parola magica, una sorte di personale rasoio di Occham che utilizza per andare al cuore dei problemi, evitando di moltiplicare gli “enti senza necessità”. Tra questi c’è la pubblicità; caso più unico che raro nel capitalismo contemporaneo, Musk la ritiene inutile: «Trovo assurdo che le compagnie spendano centinaia di milioni in pubblicità, a me non interessa per nulla, mi interessa solo investire nell’innovazione e migliorare sempre i miei prodotti».

Elon Musk è a suo modo un genio, ma essendo affetto dalla sindrome di Asperger la sua comunicazione a volte risulta spiazzante, mettendo spesso a disagio collaboratori e interlocutori: «So bene di esprimermi o di scrivere in modo strano ma è così che funziona e lavora il mio cervello», racconta nell’autobiografia scritta da Walter Isaacson, best seller planetario del 2023. Ed è questa maniera, a volte contorta e labirintica di ragionare, che lo porta a guardare oltre la siepe. Così è stato con l’entrata nel capitale di Tesla nel 2004 per assumerne in controllo totale quattro anni dopo. L’avventura del più grande produttore mondiale di auto elettriche comincia, come era prevedibile, con grandi difficoltà in un mercato ancora dipendente dal consumo di idrocarburi. I primi esemplari che costano oltre 120mila dollari sono per un pubblico di nicchia, facoltoso e ambientalista. Intanto i governi del mondo si accordano per ridurre le emissioni di Co2, compilano le prime agende green, evocando disegnando un mercato e un’economia post-petrolio, andando cioè nella direzione degli interessi di Musk. Nel 2018 il prezzo della berlina Tesla model 3 è più che dimezzato: 50mila dollari. E il mercato delle automobili elettriche oggi è in piena espansione.

Ma il ramo in cui Musk ha acquisito la notorietà globale è senza dubbio l’industria aerospaziale, uno dei grandi sogni che aveva da bambino imbevuto di storie di fantascienza e degli insegnamenti pratici del papà ingengere. Appena dieci anni fa nessuna persona al mondo avrebbe pensato che un soggetto privato potesse competere con le agenzie di Stato nel campo dei viaggi spaziali; oggi la sua SpaceX ha un contratto di 1,6 miliardi di dollari con la Nasa per i rifornimenti alla Stazione spaziale internazionale (ISS) per diversi anni monopolio della Russia. Tra le fantasmagorie che affollano la mente di Musk una delle più persistenti riguarda i viaggi spaziali, l’idea concreta di creare una colonia su Marte: «Dobbiamo trasformare il genere umano, da specie terrestre a specie interplanetaria». Eppoi tante altre “folli idee” come i treni ipersonici Hyperloop, concepiti per viaggiare a 1200 chilometri orari alimentati da energia solare. O il sistema di stoccaggio energetico Powewall pensato per gli appartamenti privati alternando energia solare ed eolica: «Cambieremo completamente l’infrastruttura energetica mondiale per renderla completamente sostenibile e priva di emissioni di carbonio». O la partecipazione nel 2015 a Open AI, il centro di ricerca sull’intelligenza artificiale oggi sulla bocca di tutti i media, o ancora la fondazione della start-up Neuralink che proprio due settimane fa ha installato per la prima vola un chip all’interno dei un cervello umano; lo scopo è aiutare le persone con gravi problemi di mobilità ma le il terreno di applicazione di questa tecnologia bionica è sterminato quanto inquietante.

Elon Musk politicamente è un libertariano, una corrente che sostiene la libertà assoluta degli individui in tutti campi dell’esistenza, dall’economia all’etica; libero mercato, Stato minimalista, ma anche disponibilità assoluta del proprio corpo, dei propri orientamenti e della propria identità sessuale, dai matrimoni gay, all’aborto, al consumo di droghe. In realtà lui si definisce un “dinamista”, un uomo capace di cogliere dove il vento soffia più forte e imprime direzione alle cose. Non a caso nel 2008 è stato un fan di Barak Obama di cui apprezzava il progressismo e la razionalità ottimista verso le nuove tecnologie. Dieci anni dopo, però, si è schierato dalla parte di Donald Trump che a suo avviso incarnava lo “spirito dei tempi”, ammirandone la vitalità (le idee forse un po’ meno), mentre i democratici umiliati e offesi sprofondano nel pessimismo e nella guerra di censura scatenata sul web per contrastare l’ascesa del populismo digitale e le cosiddette fake news.

Una battaglia stantia, di retroguardia, per il libertariano Musk che nel 2022, con un colpo di scena acquista la piattaforma di microblogging Twitter, licenziando decine di migliaia di impiegati e dirigenti e cambiandone il nome in X. La molla è stata la chiusura dell’account di Trump dopo l’assalto a Ciptol Hill, giudicata liberticida e contraria ai suoi principi morali. Da quando è a capo di X Elon Musk ha riaperto migliaia di account bloccati per motivi politici, sostenendo che nessuno ha il diritto di censurare le idee delle persone, per quanto spregevoli esse siano.