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DOMENICO MIMMO LUCANO POLITICO
Mimmo Lucano sta correndo il rischio di un secondo “esilio”? Dopo la “cacciata” da Riace a causa di un divieto di dimora impostogli (anche e soprattutto) per reati dai quali è stato assolto definitivamente, c’è il pericolo che debba restituire la fascia tricolore? Dopo la condanna ingiusta a una pena spropositata da parte del Tribunale di Locri, smentita dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria e dalla Corte di Cassazione, Lucano potrebbe subire le conseguenze di una specie di clamoroso ne bis in idem? Purtroppo è così. La Prefettura di Reggio Calabria reclama la sua decadenza poiché il caso rientrerebbe fra quelli cui la legge Severino ricollega questi effetti. Ma ho studiato con cura le sentenze e la questione e sono persuaso che la Prefettura sbagli.
L’articolo 10, primo comma, lettera d) del decreto legislativo 235 del 2012 (la legge Severino, appunto) vieta di ricoprire la carica di sindaco anche a chi sia stato condannato “con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi” ma purché ciò dipenda dalla commissione di “ uno o più delitti con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio”.
L’espressione “con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio” non è, però, il frutto della fantasia del legislatore del 2012. Questa enunciazione corrisponde esattamente al contenuto dell’articolo 61 n. 9 del codice penale del 1930 che descrive la circostanza aggravante de “ l’abuso di poteri o violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio”. Se il fatto è commesso per mezzo di una condotta che possiede tali caratteristiche, la pena è aumentata. Sempre che la circostanza sia contestata, s’intende.
Allora bisogna fare un’operazione semplicissima. Bisogna verificare se Lucano sia stato condannato “con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi” aggravati dalla circostanza dell’ “l’abuso di poteri o violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio” descritta dall’articolo 61 n. 9 del codice penale.
Ebbene, il sindaco è stato condannato alla pena ( sospesa) di diciotto mesi di reclusione per il reato di falso ideologico previsto dall’articolo 479 del codice penale contestato dal capo d’imputazione 6) limitatamente alla determina n. 57 del 19.9.2017; e per tutto il resto è stato assolto.
Dunque, Lucano non rispondeva dell’aggravante in questione in quanto il pubblico ministero non ha descritto la sua condotta attribuendole quella connotazione né ha invocato la norma (l’articolo 61 n. 9 del codice penale) insieme alla disposizione che sanziona il falso ideologico ( l’articolo 479). L’accusa ha invece contestato altre circostanze: l’aver commesso il reato per eseguire o occultarne altro o per conseguire o assicurare a sé o ad altri il profitto di un altro reato (aggravante prevista dall’articolo 61 n. 2 del codice penale esclusa anch’essa dalla Corte d’Appello) e la natura fidefacente dell’atto compiuto, contemplata dall’articolo 476. Di conseguenza, il fatto non può ritenersi commesso con “ abuso di poteri o violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio” e l’articolo 10, primo comma, lettera d) della legge Severino, che implica l’avveramento di questa condizione, è inapplicabile. Questa conclusione si presta a obiezioni? Le ho prese in considerazione e creso che risultino infondate.
In primo luogo, non si potrebbe invocare con successo l’argomento in base al quale, in mancanza di un addebito formulato invocando letteralmente l’abuso di poteri o la violazione dei doveri o indicando l’articolo 61 n. 9 del codice penale, la circostanza aggravante si dovrebbe comunque considerare contestata “in fatto”. Questa tesi sarebbe errata perché l’imputazione non contiene le “espressioni evocative” equivalenti che pretende la Corte di Cassazione ( si veda la sentenza n. 35873 del 2025) e anche per una seconda ragione. Il pubblico ministero non ha chiesto l’applicazione della circostanza aggravante neppure quando ha formulato le sue conclusioni e il giudice non ha aumentato per questo la pena da irrogare per il reato di falso ideologico.
In secondo luogo, in un vecchio parere il ministero dell’Interno ha sostenuto, citando sentenze altrettanto datate, che la condotta materiale punita dal reato di falso ideologico del pubblico ufficiale sia intrinsecamente connotata dall’abuso dei poteri o dalla violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio. Poiché il delitto in questione implicherebbe in tutti i casi tale distorsione, allora la mancata contestazione della circostanza aggravante non gioverebbe al sindaco di cui si sospetta l’incandidabilità. Tuttavia, la Corte di Cassazione oggi è di tutt’altro avviso e afferma che, per ritenere il fatto commesso con abuso di poteri o violazione dei doveri, “ non è sufficiente che in capo a chi commetta un qualsivoglia reato sussista la veste di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio”.
Infatti, una diversa conclusione “condurrebbe, tra l’altro, alla del tutto irragionevole applicazione, che non trova riscontri nella realtà giuridica, della circostanza aggravante per il solo fatto che l’autore del reato riveste la qualifica richiesta dall’articolo 6 n. 9 del codice penale. E del resto è proprio perché la circostanza riguarda una modalità dell’azione e non una mera qualità personale che sarebbe erronea un’affermazione che facesse dipendere la sussistenza dell’aggravante dalla sola veste ricoperta senza porre in relazione quest’ultima con l’azione posta in essere” (così la Cassazione nella sentenza 44452 del 2015).
Per queste ragioni, Lucano deve restare al suo posto. Una diversa decisione violerebbe i suoi diritti fondamentali e quelli dei cittadini di Riace.