Malgrado, come c’era da aspettarsi, la notizia della sentenza della Corte sul caso delle intercettazioni che hanno riguardato Matteo Renzi, abbia avuto una risonanza soprattutto nel dibattito politico, in realtà la pronuncia è una buona notizia per tutti coloro che hanno a cuore le libertà costituzionali.

E’ vero: il giudizio riguardava la tutela delle prerogative del parlamentare e in particolare se fosse necessaria l’autorizzazione della Camera di appartenenza perché l’autorità giudiziaria possa accedere a quelle comunicazioni che si realizzano anche con gli strumenti elettronici, quali WhatsApp e email.

Ma la decisione, che ha affermato la necessità di tale autorizzazione, lo ha fatto alla luce di una precisazione del concetto di comunicazione i cui effetti si riflettono sui diritti di tutti.

L’art. 68 della Costituzione sull’immunità dei parlamentari, là dove accorda specifiche garanzie perché si possa accedere alle comunicazioni dei suoi componenti, si innesta, infatti, su di un fondamento più ampio. Questo fondamento è la garanzia della libertà e della segretezza di ogni forma di comunicazione prevista per tutti (non solo i parlamentari, dunque) dall’art. 15 della Costituzione.

Definire esattamente cosa sia comunicazione, come ha fatto la Corte, significa allora precisare quale sia l’estensione della libertà di ognuno.

Questo è il cuore della decisione.

Insomma se non si fosse nel perimetro garantito a tutti dall’art. 15, nemmeno Renzi o qualsiasi parlamentare avrebbero potuto godere della particolare (e ulteriore) tutela che è accordata dall’art. 68.

Cerchiamo di capire.

Fino ad oggi prevaleva l’interpretazione che riduceva il concetto di comunicazione alla sola fase del suo verificarsi. In parole povere, era considerata comunicazione solo ciò che avviene tra il momento in cui il messaggio, orale o scritto, parte da mittente e quello in cui esso arriva al destinatario. Dopo tale momento, la “comunicazione” non veniva più considerata protetta dall’art. 15 della Costituzione e, quindi, nemmeno dall’art. 68.

Si trattava di una interpretazione consolidata e molto autorevole, avallata dalla stessa Corte di Cassazione.

Con la sentenza n. 170, la Corte costituzionale respinge tale lettura riduttiva dell’art. 15 Cost. e precisa che anche una volta giunto, il messaggio non si trasforma in un mero “documento” privo delle garanzie previste dalla Carta fondamentale, ma continua ad essere protetto fin quando esso rimanga “attuale” e di “interesse” per coloro che comunicano.

La conclusione è di fondamentale importanza, soprattutto nell’epoca delle comunicazioni elettroniche, nelle quali il tempo tra partenza e arrivo del messaggio è praticamente nullo. Premuto l’invio, il destinatario lo riceve in tempo reale (rete permettendo!).

Ridurre la tutela costituzionale al tempo di trasmissione, significherebbe quindi svuotare completamente di contenuto il diritto costituzionale. Equivarrebbe a cancellare l’art. 15 della Costituzione.

La verità è che la comunicazione non si riduce a questo. O meglio, per riprendere la Consulta, la comunicazione (e la relativa tutela) ha anche un momento statico, quando il messaggio istantaneo atterra sullo smartphone o sul computer e viene memorizzato.

Il messaggio “scaricato”, insomma, non diventa un dato liberamente attingibile dai pubblici poteri (giudici, pm o pubblica amministrazione) o da altri privati. Esso non è privo della garanzia costituzionale che garantisce a tutti che l’accesso di estranei alle proprie libere comunicazioni avvenga “soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.

Le parole della Corte non potrebbero essere più chiare: “degradare la comunicazione a mero documento quando non più in itinere, è soluzione che, se confina in ambiti angusti la tutela costituzionale prefigurata dall’art. 15 Cost. nei casi, sempre più ridotti, di corrispondenza cartacea, finisce addirittura per azzerarla, di fatto, rispetto alle comunicazioni operate tramite posta elettronica e altri servizi di messaggistica istantanea, in cui all’invio segue immediatamente – o, comunque sia, senza uno iato temporale apprezzabile – la ricezione”.

Tutte queste considerazioni valgono, lo dice espressamente la sentenza, “per la generalità dei consociati”. Cioè per tutti noi.

Gli aspetti relativi alle conseguenze sulle vicende del singolo parlamentare non sono che corollari di quell’impostazione.

Il fatto che il dibattito pubblico si sia concentrato sui “vantaggi” che da tale decisione derivano nella fattispecie a Matteo Renzi, scatenando anche gli umori contrapposti delle varie tifoserie, non deve far dimenticare la prospettiva generale.

Sia perché, in realtà, per la natura del processo costituzionale, l’oggetto della decisione non è l’interesse di questo o quel parlamentare, ma semmai la definizione del perimetro delle prerogative assicurate, seguendo lo spirito del Costituente, all’organo in cui tutto il popolo è rappresentato.

Sia, perché, di una tale decisione tutti, cittadini e non, dovrebbero rallegrarsi. Essa radica su ancor più solide e intangibili basi, e con l’autorevolezza del giudizio del massimo organo di garanzia della Costituzione, la tutela - nei limiti ivi prescritti - del diritto di ciascuno di comunicare liberamente anche nell’era e con i mezzi digitali.

E questa, come dicevo, è una buona notizia.