Caro direttore, come lei ben sa viviamo di anniversari, e quasi tutti rappresentano l’occasione per nuovi litigi e scontri politici, perché la nostra tutto è tranne che una storia condivisa. Ovviamente una delle storie meno condivise è quella riguardante la mafia, presa nel suo complesso e anche in molti dei suoi singoli episodi. Poi, a nostro avviso, il teorema sulla “trattativa” Stato- mafia ha costituito un formidabile contributo alla deviazione e alla manipolazione di tutto il discorso sulla storia di questa organizzazione criminale.

Ciò premesso, ci permettiamo di sottoporre all’attenzione dei suoi lettori un interrogativo che finora non è mai stato al centro del dibattito. È fuori di dubbio che prima la strage di Capaci che ha colpito Falcone, sua moglie e la sua scorta, e poi quella di via D’Amelio che ha provocato la morte di Borsellino e degli uomini preposti alla sua sicurezza, sono stati episodi inusitati anche rispetto alle modalità criminali con cui solitamente la mafia regolava precedentemente i conti, sia al proprio interno e sia all’esterno, nei confronti di singoli magistrati o poliziotti. Si trattò di vere e proprie stragi di tipo sudamericano, volte chiaramente a esercitare il massimo della pressione e a provocare un autentico shock.

Finora gli interrogativi intorno all’inusitato livello a cui Cosa nostra portò la propria azione criminale si sono intrecciati col teorema della “trattativa”. Ci permettiamo di avanzare un’altra ipotesi. La strage di via D’Amelio, in particolare, è stata accelerata nella sua tempistica quando Mani pulite a Milano era decollata. Non intendiamo in questa occasione esprimere giudizi su quest’ultima vicenda, ma partire da quella concomitanza temporale per avanzare un interrogativo di fondo. Nel biennio 1992- 93 Mani pulite è entrata come un coltello nel burro al Nord, specie a Milano, non trovando resistenza alcuna né nei partiti, né nel mondo imprenditoriale, né nello Stato, Servizi compresi. Però tutta quella vicenda si è concentrata al Nord. In una trasmissione de La 7, Di Pietro ha raccontato come a suo tempo il capitano De Donno dei Ros lo sollecitò a estendere le indagini in Sicilia, alla luce del dossier “Mafia- appalti” costruito proprio dai Ros, giacché la Procura di Palermo era totalmente immobile. Orbene l’interrogativo che sorge a questo punto è il seguente: non è che la mafia, colpendo in quel modo prima Falcone e poi Borsellino, ha voluto bloccare ogni possibilità che Mani pulite passasse lo Stretto di Messina? Ci sarebbe una ragione molto forte per spiegare così quello che è avvenuto: mentre al Nord i soggetti fondamentali del sistema di Tangentopoli erano gli imprenditori, i partiti, gli enti locali, in Sicilia a tutti costoro si sarebbe dovuto aggiungere un autentico convitato di pietra, cioè la mafia, con effetti sconvolgenti per molti, in primo luogo per i grandi gruppi imprenditoriali. A quel punto, nel ’ 92, quando ciò poteva avvenire, fu lanciato un segnale fortissimo. Forse su questi interrogativi andrebbe aperta una riflessione.

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Caro onorevole, lei pone un tema sul quale da anni conduciamo una battaglia ( quasi) solitaria. Il nostro Damiano Aliprandi ha sezionato ogni parola di quell'inchiesta. Dietro il ' dossier' mafia- appalti si nasconde un pezzo di storia assolutamente drammatico del nostro paese. In molti lo temono e per questo noi del Dubbio non smetteremo di parlarne e di 'indagare'...

DAVIDE VARÌ