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La libertà di esprimersi, di avere un’opinione, è sacra. Eppure, talvolta assistiamo a promotori di idee talmente ripugnanti – perché liberticide, propagandiste in favore di regimi autoritari, vassalle di messaggi sanguinari e violenti – che viene alla mente quanto scriveva Karl Popper ne La società aperta e i suoi nemici.
Si è tenuta oggi a Roma la presentazione dell’autobiografia dell’Ayatollah Khamenei, Cella n14. I semi della rivoluzione. La rivoluzione di cui si parla è quella khomeinista del 1979, quella che ha portato al potere a Teheran i mullah e con essi una feroce campagna di repressione di ogni forma di dissenso che – fortunatamente – chi è nato e vive nel nostro mondo libero non può nemmeno immaginare. Ciò che il regime iraniano ha compiuto, dentro e fuori i propri confini, ieri e oggi, è sotto la luce del sole. Solo chi non vuole, non vede.
Quei semi di cui Khamenei scrive, sono le frustrate o sassate, le violenze, l’asfissiante prigionia del velo che le donne iraniane vivono costantemente giorno e notte; sono le impiccagioni, l’assenza di ogni libertà al di fuori di un credo fondamentalista che il popolo iraniano subisce da decenni. L’evento è stato – visto lo scenario odierno e le deplorevoli pulsioni di antisemitismo in diversi contesti – un triste microfono che inevitabilmente diviene argomento politico.
Al di là dei contenuti espressi, delle considerazioni più storiche e delle libere interpretazioni di ognuno, il fulcro è stato un libro scritto da un sanguinario tiranno. Le idee dell’Ayatollah sono note: egli apertamente inneggia alla cancellazione di Israele e ha definito il 7 ottobre 2023 “un’azione logica, giusta e legittima” e “un servizio all'umanità”, o ancora, appoggia militarmente l’aggressione russa in Ucraina, si adopera incessantemente per ottenere l’arma nucleare ingannando la comunità internazionale.
Proprio nei giorni in cui migliaia di siriani festeggiano per la caduta del sanguinario regime di Assad, di cui la guida suprema dell’Iran è stato cruciale sostenitore; proprio quando emergono gli orrori dei crimini commessi contro i dissidenti detenuti nelle terribili prigioni di Damasco o Aleppo; c’è chi ha trovato tempo per parlare o ascoltare una presentazione in cui è andata in scena una propaganda ben nota. Quella che disprezza l’Occidente, che vede in esso ogni male e ritiene legittimo anche con mezzi sanguinari opporsi ad esso, che crede che esaltare despoti sia un atto di emancipazione.
Chi crede nello Stato di diritto, nella democrazia, nella vera libertà preferisce pensare che la vera rivoluzione, oggi, sia quella dei giovani che sfidano in piazza un regime. È al nostro modo libero di vivere che si ispirano. E preferisce pensare, poi, che sia una fortuna che – grazie alle azioni di Israele e occidentali in Medio Oriente – il regime iraniano stia divenendo sempre più debole. E auspica, infine, che vi sia un coro unanime di voci di condanna per i continui affronti alle regole della comunità internazionale portati avanti impunemente da Teheran. Tutto il resto sono megafoni stonati.