Ci hanno messo cinque mesi alle Nazioni Unite per riconoscere una lampante verità, immortalata in modo brutale dalle videocamere degli stessi carnefici: il 7 ottobre 2023, negli attacchi terroristici di Hamas contro i kibbutz al confine di Gaza e al festival musicale Supernova nel deserto del Negev ci furono stupri di massa. Questo è avvenuto «in almeno tre località nel sud di Israele».

Secondo Pramila Patten, rappresentante speciale per conto dell'Onu per la violenza sessuale nei conflitti, ci sono «ragionevoli motivi» per credere che lo stupro sia stato impiegato dai miliziani islamisti come arma per colpire il nemico. E che nel corso dei 150 giorni di investigazioni in cui sono state visionate migliaia di video e raccolte centinaia di testimonianze dirette sono emerse «prove chiare e convincenti sul fatto che la violenza sessuale, compreso lo stupro, la tortura sessualizzata, le pratiche crudeli, disumane e degradanti trattamento».

Meglio tardi che mai, anche perché attorno alle Nazioni Unite stava lievitando da tempo l’odioso sospetto che quelle violenze atroci fossero state sminuite, relativizzate per una specie di automatismo solidale con la causa palestinese, accentuato dai crimini commessi dall’esercito di Tel Aviv nella Striscia di Gaza.

Lo scorso 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza di genere, UN Women aveva diffuso due rapporti sulla condizione delle donne palestinesi, ignorando del tutto i fatti del 7 ottobre. Il che aveva rafforzato il sospetto che l’Onu non fosse per nulla imparziale, alimentato dalla durissime parole del segretario Guterres contro Israele e poi dallo scandalo che ha colpito l’Unrwa (l’agenzia per i rifugiati palestinesi) con decine di suoi dipendenti che avrebbero partecipato attivamente ai pogrom di Hamas.