Un insieme di misoginia, paura della maternità, del corpo della donna e della nudità del suo seno, esposto mentre la madre nutre il suo bambino. A Milano la commissione consultiva di esperti istituita dal sindaco Giuliano Pisapia nel 2015 sull’arredo artistico urbano, ha bocciato la collocazione in una piazza pubblica di una scultura che raffigura una madre che allatta.

L’opera si chiama “Dal latte materno veniamo”, opera dell’artista Vera Omodeo, una scultrice molto amata e apprezzata a Milano, morta quasi centenaria pochi mesi fa. La statua in bronzo è molto bella, morbida, delicata, ed esprime dolcezza. È l’immagine della madre che abbraccia il bambino e gli porge il latte, il suo corpo è nudo fino alla vita.

I familiari dell’artista hanno offerto la scultura come donazione per la città di Milano. Hanno anche indicato il luogo dove collocarla, una piazzetta deliziosa in zona Porta Venezia che porta il nome di una grande donna, Eleonora Duse. Va ricordato che la città che si crede capitale del “political correct”, ha solo due statue su 120 dedicate a donne, Cristina Trivulzio Belgioioso e Margherita Hack, in attesa della terza che rappresenterà la grande scrittrice Alda Merini. Ma pochissimi sono anche i monumenti creazione di artiste.

Non va meglio con l’intitolazione delle vie e delle piazze: solo 135 vie su 2667 sono declinate al femminile, a ricordare le donne della storia nel mondo dell’arte, della scienza, della letteratura. Sarebbe dunque una bella occasione, quella proposta dai familiari di Vera Omodeo.

Ma la commissione comunale ha indicato il pollice verso, come si faceva per condannare a morte i cristiani nell’antica Roma. No al monumento e no al luogo prescelto. Sulla collocazione nessun problema, si può cambiare. Ma è proprio sull’immagine dell’opera d’arte che è scattata una vera censura: non è adatta a essere esposta in un luogo pubblico. Il motivo? La scultura «rappresenta valori certamente rispettabili ma non universalmente condivisibili da tutti i cittadini, tanto da scoraggiare l’inserimento nello spazio pubblico». Se mai, suggeriscono gli esperti, mettetela in qualche ospedale o casa di riposo, purché privati, perché il tema della maternità espresso dall’opera avrebbe «sfumature squisitamente religiose».

Una bella censura ad ampio raggio, che chiama in causa insieme alla materialità del corpo anche la spiritualità del popolo credente. Come se questa immagine rappresentata dalla scultura fosse direttamente la madonna. E anche se fosse così? E chi sarebbero questi cittadini milanesi che sarebbero turbati dalla visione della maternità, celebrata da numerose opere d’arte disseminate non solo nei musei e piazze italiani ma in quelli di tutto il mondo? O da una donna che mostra il seno nudo mentre allatta?

Temiamo che, insieme all’ideologia che tende a mettere in ombra le radici giudaico-cristiane della nostra cultura nel nome del rispetto di altre religioni, anche le più intolleranti, ci sia dell’altro. La mortificazione del corpo della donna, quello considerato impuro dalla sharia, la legge massima dell’Islam, che ne impone la mortificazione e la copertura sta trovando qualche spiraglio anche nella laicità dell’occidente.

C’è anche qualcosa di più sottile e nascosto in quella decisione del Comune di Milano. Una vera misoginia, quella che tende a cancellare le differenze sessuali e la contraddizione uomo-donna. Per cui alla fine, nonostante la rivendicazione al diritto della maternità surrogata, si finisce con il negare anche il fatto che dalla donna sorga il principio della vita. E che lo si possa celebrare e mostrare. E si nasconde invece quel corpo che sa creare e poi nutrire con il suo seno. Se a questo aggiungiamo che nella statua di Vera Omodeo quel seno è anche scoperto, ecco che spuntano, forse più nella testa di questi nuovi censori che non in quella dei milanesi, nuove forme di khomeinismo. Nella città più moderna e sviluppata d’Italia e più vicina all’Europa.

E il sindaco Beppe Sala, giustamente perplesso per quella decisione, non si limiti a chiedere ai suoi esperti di ripensarci, come ha già fatto. Quella commissione di censori ha solo un ruolo consultivo. Decida lui, dunque, di esporre quell’opera d’arte in un luogo pubblico, aperto e ben visibile. Lo rivendichi. E lo dedichi a tutte le madri, di ogni cultura o religione. Mostri lui più coraggio e rispetto dei suoi consulenti. Lo faccia per le donne, prima di tutto.