A Dilemmi, programma di Rai3 condotto da Gianrico Carofiglio, si discute di argomenti alti, di linguistica, in particolare dello (o della) schwa, desinenza neutra che permetterebbe alla lingua italiana di liberarsi del maschile sovraesteso. Un tema di nicchia, per intenditori, quello del linguaggio inclusivo, anzi, “linguaggio ampio” come spiega la sociolinguista Vera Gheno invitata a discuterne con lo scrittore Emanuele Trevi, ferocemente ostile all'introduzione dello (o della) schwa.

Se fosse stato un incontro di Boxe - il format preferito delle bolle social in cui i fan rivivono mitomani ogni confronto che avviene nella vita reale - Gheno avrebbe stravinto ai punti senza praticamente fare nulla. Quando hai di fronte un pugile bolso e arrabbiato ti basta mantenerlo a distanza con il jab, si annienterà da solo, sfiancato dalla stracca violenza dei colpi che non raggiungono mai il bersaglio. Mentre Trevi ripeteva che chi utilizza lo (o la) schwa è un «idiota» o un «demente», Gheno annuiva con educazione ripercorrendo senza polemica la storia recente del linguaggio ampio. E facendo annegare lo scrittore nel luogo comune vittimista del «non si può più dire niente», che francamente è una grandissima sciocchezza.

Al contrario, e per fortuna, noi possiamo dire tutto, anzi lo facciamo in continuazione, viviamo una società sanamente logorroica che ci permette di ignorare con tranquillità le fastidiose ingiunzioni del linguisticamente corretto. La lingua non viene mai modificata con un atto notarile, non dal “potere”, tantomeno dagli intellettuali chiamati a discuterne, ma dall’insieme dei parlanti che giorno per giorno ne modificano un pezzo senza neanche rendersene conto. In tal senso è un’entità in continua mutazione ma anche radicalmente democratica perché le parole di persone autorevoli come Vera Gheno e Emanuele Trevi contano come quelle di chiunque altro. O altra.