La decisione della Cassazione francese, che ricalca gli argomenti della prima istanza di giudizio, deve essere accolta come ineccepibile dal punto di vista giuridico.

Essa si basa su due argomenti: innanzitutto i processi che hanno condotto alle pesanti pene non sono stati processi equi, soprattutto perché si sono svolti in contumacia degli imputati e quindi senza sentire dalla loro viva voce dell’imputato gli argomenti difensivi. Poi perché dopo tanti anni i condannati si sono “rifatti una vita” in Francia sulla base della dottrina Mitterrand (dunque in una posizione legittima) e non si può andare a sconvolgere l’equilibrio loro e della famiglia che eventualmente abbiano messo in piedi in Francia con l’estradizione. Vengono in gioco gli articoli 3 e 8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo.

Sabino Cassese è intervenuto su queste motivazioni, riconoscendo una sia pur parziale ragionevolezza del primo argomento: vexata quaestio e punto di maggiore differenza fra il nostro ordinamento (almeno pre-Cartabia) e quelli su questo punto più avanzati. Non sembra invece riconoscere alcuna validità al secondo argomento. La penso in maniera diametralmente opposta. E muovo dall’esperienza del processo Calabresi in cui era imputato Pietrostefani e in cui ho difeso la posizione degli imputati per tutte le sette fasi di giudizio, che occuparono dodici anni.

In quel processo gli imputati, Pietrostefani compreso, non furono affatto contumaci, ma anzi svilupparono ampiamente le proprie difese anche in maniera efficace, ancorché il Tribunale non abbia annesso loro alcuna consistenza. Dunque l’argomento sostenuto dai giudici francesi almeno per quel caso non vale.

Per gli altri nove condannati non posso dire con certezza, ma a ricordo delle cronache, mi sembra difficile sostenere che se gli imputati si sottrassero al processo lo fecero perché non sapevano che questo fosse in corso contro di loro, ma non vollero presentarsi. Dunque su questo punto do ragione ai francesi in linea di principio, ma non mi pare che il pregevolissimo ragionamento si attagli ai casi concreti: forse è più un pregiudizio che non un argomento valido. Ben altre sono state le violazioni di diritto che hanno minato il caso Calabresi: tutte enormi e tutte documentate. Quindi, anche se Pietrostefani non fu contumace, è vero che ha subìto un processo iniquo e distorto per raggiungere il fine prestabilito della condanna. Peraltro, non fu nemmeno un processo per terrorismo: la relativa aggravante non fu mai contestata, certo perché nel bilanciamento fra aggravanti e attenuanti non si sarebbe potuto garantire l’impunità (tramite prescrizione) al pentito. Dunque un punto abbastanza discutibile, quello del processo non equo che portò alla condanna di quelli di cui ieri si chiedeva l’estradizione.

La novità sta invece nell’avere giustamente invocato l’art.8 della CEDU (Diritto al rispetto della vita privata e familiare). Questi uomini e queste donne nel corso dei molti anni in cui sono stati latitanti in Francia hanno non solo tenuto un comportamento ineccepibile, senza commettere altri crimini e privo di jattanza, ma soprattutto si sono ricostruiti una vita, che spesso coinvolge anche nuovi congiunti, che inevitabilmente verrebbe travolta dall’estradizione e dalla conseguente lunga detenzione. Conosco l’obiezione: riservare loro tutto questo riguardo significa non riconoscere alcun diritto delle vittime a vedere eseguita una sentenza di condanna.

Ma proprio qui sta il punto, del tutto nuovo, elaborato dai giudici francesi, che non è quello di non riconoscere valore alla posizione delle vittime di tante tragedie, ma quello di riconoscere dei diritti anche in capo ad un condannato, ove ve ne siano i presupposti, e qui siamo in casi estremi per il lungo tempo trascorso dai fatti. I giudici francesi hanno immesso nella loro valutazione un elemento che per noi italiani ormai sembra insussistente o quanto meno, desueto: l’umanità nel giudizio. Quella umanità che tanto spesso giustamente muove giudici e pubblico quando si valuta la posizione delle vittime, deve essere recuperata anche nel valutare la posizione degli imputati condannati. E hanno avuto la vista lunga, i giudici francesi, nell’individuare la fonte normativa di un simile elemento valoriale, andando ad attingere a quella normativa CEDU che, anche per noi, è legge equiparabile alla norma costituzionale e dunque che sta sopra e deve informare di se’ anche le norme, ordinarie, sull’estradizione.