Corey Ford era un umorista molto celebre nell’America degli anni 50, le sue gag, molto divertenti, ruotavano quasi tutte intorno alla proverbiale pigrizia e all’odio che aveva per la tecnologia, le cosiddette “diavolerie moderne”. Per esempio Ford detestava il telefono automatico che trovava ansiogeno e disumano rispetto al vecchio sistema, quando cioè si poteva «chiacchierare amabilmente con la centralinista». In tarda età poi Ford era letteralmente terrorizzato dalle porte con cellula fotoelettrica che si aprivano al suo passaggio e alle quali non si è mai abituato. Una comicità che interpretava, con molta autoironia, lo smarrimento e le idiosincrasie delle vecchie generazioni rispetto allo sviluppo galoppante del progresso industriale negli Stati Uniti del secondo dopoguerra.

Lo stesso smarrimento che sembra cogliere la nostra piccola Italia del 2023, dove in pochi giorni si è riusciti nel capolavoro di vietare la ricerca e la produzione di carne “sintetica” (in realtà si dovrebbe dire carne “coltivata”) e a oscurare l’accesso telematico a Chat Gpt, l’intelligenza artificiale sviluppata da Open AI. Due casi diversi ma accomunati da un’unica, emblematica fobia per la scienza e la modernità. E stavolta le fazioni politiche c’entrano poco, visto che lo stop a Chat Gpt non è stato chiesto dal governo ma dal garante della privacy , un’Autorità indipendente.

Mentre la decisione di fermare la carne da laboratorio viene sì dal ministro Lollobrigida, ma sotto la forte pressione degli agricoltori, Coldiretti in testa, e invocando peraltro un farisaico “principio di precauzione”. Ma è probabile che anche un ministro del Pd avrebbe reagito allo stesso modo.

In entrambi i casi non si può però ignorare che il nostro paese è l’unico al mondo ad aver chiuso la porta a queste innovazioni senza neanche aprire una discussione su come regolamentarne gli eccessi, quasi per riflesso pavloviano.

Prendiamo la grottesca vicenda Chat Gpt: il garante Pasquale Stanzione non ha il potere di oscurare un sito internet, il servizio è infatti off-line per decisione dei suoi stessi sviluppatori, un’autocensura preventiva per evitare l’intervento dell’esecutivo. «Raccolta illecita di dati personali e assenza di verifica dell’età dei minori», si legge nel comunicato dell’Authority, osservazione lunare per chi conosca minimamente la giungla del web, il tracciamento continuo delle nostre attività digitali da parte di aziende e governi, per non parlare dell’esposizione continua dei minori sui social network, da Tik Tok a Instagram, da Twich a Youtube, con un telefono-protesi che praticamente registra ogni loro respiro.

In un’intervista a Repubblica Stanzione spiega che, oltre ai problemi di riservatezza, Chat Gpt è un rischio per la diffusione di fake news: «Non è legittimato da presupposti giuridici e può generare bias cognitivi perché si riscontrano inesattezze nelle risposte che l'algoritmo fornisce», il che può anche avere un senso ma non è certo un problema di competenza di chi si occupa di diritto alla privacy.

Fa una certa impressione vedere la classe dirigente italiana chiudersi a riccio di fronte al progresso scientifico e tecnologico, e affidare la complessa questioni delle libertà digitali a degli ultra ottantenni smarriti che a malapena sanno scrivere un e-mail e che, per evidenti motivi anagrafici, non sono in grado di comprendere il mondo in cui vivono.

Un po’ come il buon Corey Ford e le sue spassose crociate contro i telefoni automatici, le manopole delle automobili e le cellule fotoelettriche. Soltanto che lui, almeno, sapeva strapparti una risata.