Probabilmente non sapremo mai con certezza se i droni intercettati e distrutti sopra il palazzo del Cremlino fossero teleguidati da Kiev, dagli occidentali, da oppositori interni al regime russo o addirittura dagli stessi servizi di Mosca.

È in ogni caso plausibile che l’Ucraina e i suoi alleati abbiano tentato il “colpo grosso” per dare una svolta alla guerra, ovvero uccidere Vladimir Putin. Se così fosse il tentativo è stato indubbiamente maldestro visto che in quel momento lo “zar” non si trovava neanche a Mosca, eppure non è la prima volta nella Storia che si tenta di colpire al cuore un regime eliminandone il capo.

Decapitare l’uomo forte al comando, il tiranno, il dittatore che tutto accentra sulla sua figura e che per questo diventa insostituibile è una formidabile scorciatoia per dare una svolta a un conflitto, per destabilizzare il campo nemico e farne esplodere le contraddizioni. Può avvenire “dal basso” per accumulo della frustrazione popolare, per una congiura o una lotta di potere intestina, o semplicemente per opera dei propri avversari, come tecnica di guerra o di guerriglia. Capita che i cospiratori riescano nell’intento eliminando il bersaglio, il più delle volte però falliscono e in tal senso la Storia è ricca di esempi.

Non hanno fallito i 60 senatori romani guidati da Marco Bruto e Caio Cassio che il 15 marzo del 44 A.C pugnalarono a morte Giulio Cesare, salito al potere in modo democratico ma in poco tempo diventato despota assoluto della repubblica. La sua morte diede luogo a un neologismo: il cesaricidio, che per tutto il Medioevo e parte del Rinascimento è stato sinonimo di assassinio politico di figure illustri e potenti.

Molti secoli più tardi, il 24 dicembre del 1800 Napoleone Bonaparte e la moglie Giuseppina sfuggirono per miracolo all’attentato dinamitardo della rue Saint-Nicaise, un’azione passata alla storia come la congiura della macchina infernale in cui perse la vita una dozzina di passanti. Inizialmente Naspoleone sospettò i giacobini ma poi si scoprì che dietro la bomba c’era un gruppo di monarchici e sostenitori dell’ancien regime.

Nel ventesimo secolo l’italiano Benito Mussolini ha subito sette tentativi di attentato di cui tre effettivamente portati a termine: il Il 7 aprile 1926 dall’irlandese Violet Gibson che gli esplose un colpo di pistola a pochi metri ferendolo lievemente al naso. Poiché la donna era una squilibrata e non un’oppositrice politica il Buce le concesse di ritornare in Irlanda, una mossa che aumentò ancor di più la sua popolarità. Venne invece condannato a 30 anni di carcere l’anarchico Gino Lucetti che l’11 settembre del 1926 lanciò senza successo una bomba contro il convoglio di Mussolini ferendo otto persone. Sempre nel 1926, il 31 ottobre (anniversario della marcia su Roma) il 15enne Anteo Zamboni spara a Bologna un colpo di pistola verso il Duce, sfiorandolo, verrà linciato pochi minuti dopo dalla camice nere.

Innumerevoli i tentativi di assassinare Adolf Hitler nei 12 anni che passò alla guida del Terzo Reich,: da 39 a 42 a seconda delle fonti. Il più noto e spettacolare di tutti fu quello del 20 luglio del 1944 conosciuto come”Operazione Valchiria” , un complotto organizzato da alcuni ufficiali tedeschi ed esponenti della nobiltà con a capo il “gentiluomo prussiano” e colonnello della Wermacht Claus Schenk Graf von Stauffenberg con lo scopo di negoziare una pace con gli alleati a far terminare la carneficina della Seconda Guerra mondiale. I cospiratori fecero esplodere un ordigno nella stanza riunioni della "Tana del Lupo", il quartier generale del Führer, a Rastenburg nella Prussia orientale. L’esplosione uccise tre ufficiali dell’esercito e uno stenografo ma risparmiò Hitler che uscì dalla sala del tutto illeso seppur sconvolto. Manco a dirlo la repressione fu tremenda con oltre 5000 arresti e 200 esecuzioni.

Anche nel dopoguerra satrapi e dittatori sono stati sfiorati da bombe e proiettili, come l’ugandese Idi Amin che nel 1979 sopravvisse a un’esplosione che colpì il suo aereo. Oppure l’iracheno Saddam Hussein che nel 1983 si salvò da un attentato messo in piedi da alcuni alti ufficiali e membri del suo partito, il Baaht, durante una parata militare. Nell’86 invece il Movimento rivoluzionario del popolo (Mir) fece scoppiare un autobomba al passaggio della berlina del cileno Augusto Pinochet, uccidendo cinque persone ma non il colonnello golpista che rimase al potere fino al 1990.