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KHAMENEI.IR
Cari amici e compatrioti,
A seguito della recente guerra devastante e del fallimento dell’apparato di sicurezza nel prevedere e individuare i principali responsabili e le spie chiave della catastrofe, la macchina delle esecuzioni della magistratura si è messa in moto con estrema rapidità e severità. Oggi sta portando a compimento condanne a morte contro prigionieri che, con accuse diverse, sono detenuti da anni. Non passa settimana senza l’annuncio di nuove esecuzioni. I compagni di prigionia condannati a morte raccontano che la giustizia ha messo decine di persone nella lunga fila del patibolo — condanne di cui conosciamo fin troppo bene origini e motivazioni. Se rimaniamo in silenzio e permettiamo che tanti esseri umani — a prescindere dalle accuse — vengano giustiziati, la storia, le future generazioni e i nostri figli ci giudicheranno severamente.
In questi giorni, dalla mattina alla sera, nella piccola sala della nostra sezione nella prigione di Greater Tehran, passo accanto più volte ai compagni di cella sotto condanna a morte. Li vedo camminare, mangiare, fumare, lavare i vestiti, andare alla doccia. Ogni volta non posso fare a meno di immaginare le scene della loro esecuzione — proprio adesso che attendono più che mai la convocazione per l’attuazione della sentenza. È incredibile come esseri umani possano essere impiccati in questo modo.
Tre anni dopo la Rivoluzione in Iran, la Francia — con il discorso storico e influente dell’allora ministro della Giustizia Robert Badinter davanti all’Assemblea nazionale — abolì la pena di morte. Nello stesso periodo, i nuovi governanti dell’Iran, dietro slogan altisonanti, accelerarono drasticamente le esecuzioni. Negli ultimi cinquant’anni, mentre la maggior parte dei Paesi ha scelto l’abolizione della pena capitale, l’Iran è rimasto di gran lunga il principale esecutore al mondo. Oggi l’Iran, da solo, è responsabile di un terzo di tutte le esecuzioni globali. La maggior parte di queste condanne viene emessa senza alcuna trasparenza e circondata da gravi e insanabili ambiguità.
Mentre scrivevo queste righe, ci è stato detto che dovevamo rientrare nella prigione distrutta di Evin. Alcuni nostri compagni di cella sono stati separati al momento della partenza per essere trasferiti a Ghezel Hesar, dove le loro condanne a morte verranno eseguite. Uno di loro era un giovane di nome Babak Shahbazi. L’immagine di lui, a mani vuote e affiancato da due agenti in borghese nel cortile erboso della prigione, in attesa di essere trasferito, resterà per sempre incisa nella mia memoria. Il suo sguardo distante verso gli autobus che riportavano i prigionieri a Evin è stata una delle scene più strazianti che abbia mai visto nella mia vita.
10 agosto 2025
Prigione di Evin