Il problema della necessità dei limiti della tecno-scienza attraverso il diritto o attraverso la morale occupa un posto centrale nel dibattito attuale. Non va trascurato che il progresso tecnologico deve trovare dei limiti, una misura, un equilibrio che dovrebbero determinare la condotta di vita. Questo equilibrio, questo limite si cerca ora di realizzarlo attraverso l’etica o attraverso il diritto. Nel considerare i compiti della bioetica e del biodiritto una prima affermazione ci porta a ritenere che le due discipline non si dovrebbero sovrapporre, pur avendo analogo oggetto di riflessione.

Possiamo ricordare che il postulato proprio dell’Illuminismo e poi del Liberalismo, quindi delle nostre democrazie, spinge verso l’idea che il legislatore non debba utilizzare l’etica come uno strumento di rafforzamento del diritto. Etica e diritto dovrebbero restare sistemi deontici separati. Il diritto tende a svolgere il suo compito primario di controllo all’interno di un genere di discorso che si avvale il più delle volte di scelte già fatte dal legislatore sulla base dell’ordinamento giuridico esistente, di carte costituzionali, regionali e internazionali, e a prescrivere una determinata condotta, che dovrebbero garantire il rispetto della dignità umana a fronte delle nuove offerte delle tecnologie.

L’alternativa alla regola giuridica è quella dell’intervento etico, sorretto da riflessioni di carattere filosofico e culturale. Si è sentita la necessità di tracciare le grandi linee di quell’etica che negli ultimi decenni ha assunto il neologismo di bioetica o etica biologica, traducendosi in un insieme di riflessioni sui vari problemi morali, giuridici, sociali e ambientali sollevati dalla tecno- scienza.

D’altronde inizialmente fu rimessa all’etica dello scienziato o più specificatamente del medico la risposta più adeguata al progredire della medicina contemporanea occidentale verso quelle sperimentazioni, specialmente sull’essere umano, che suscitavano riflessioni inquietanti.

Al Codice di Norimberga ( 1947), nato dagli orrori del nazismo e a giusta ragione considerato come la prima Carta dell’etica della sperimentazione, fecero seguito negli anni numerosi documenti di organizzazioni e comitati nazionali e internazionali con il compito di indicare modelli comportamentali agli addetti ai lavori e alla società. Forse anche questi interventi, unitamente a scelte ideologiche ben precise, spingono autorevoli filosofi e uomini di scienza a sconsigliare l’intervento del legislatore.

È dunque una ‘ tendenza astensionista’ verso la regola giuridica, propria di quelle correnti di pensiero indicate come ‘ liberal- libertarie’, che pongono forte l’accento sul rispetto delle scelte private dei singoli individui, sull’autonomia intesa come autodeterminazione e sull’utile personale, che devono patire nel minor modo possibile l’intervento dello Stato.

Nei confronti di queste linee di pensiero si sono avanzate diverse contro- argomentazioni che hanno riportato all’insufficienza della regola morale e alla necessità del diritto. E’ difficile ritenere che i problemi riguardanti il crescente evolversi delle nuove biotecnologie possano essere risolti attraverso un vasto e generale consenso di principi etici. Nessuna società conosce un’omogeneità tale da arrivare a questo obiettivo, facendo propria una morale condivisa.

I nostri pensieri e le nostre decisioni etiche sulla vita e sulla morte si trovano oggi a fare i conti con un diffuso pluralismo etico e appare improponibile una etica sola e assoluta, inevitabilmente dogmatica ed autoritaria. Il modello ideologico di riferimento è piuttosto quello del ‘ non cognitivismo etico’. «Le proposizioni direttive di un’etica – scrive il giurista Ugo Scarpelli – non sono qualificabili come vere o false, non sono da accettare o respingere in forza di criteri di verità, non sono derivabili in modo logicamente cogente da proposizioni vere o false… L’etica è senza verità».

Diventa, allora, essenziale che la collettività di ciascun Paese riesca ad arbitrare le proprie esigenze, i propri valori, avvalendosi di una regolamentazione formale, ricondotta allo specifico giuridico, mediante gli strumenti istituzionali, al fine di creare un consenso maggiormente esteso. D’altronde la gestione dei conflitti in una società democratica è generalmente al centro della riflessione giuridica più che etica. Con ciò non si esclude che il ragionamento giuridico includa anche la valutazione morale, discostandosi dalla pretesa propria degli analisti che essa sia “avalutativa”.

L’esame di qualsiasi legislazione nel campo delle biotecnologie evidenzia con grande frequenza l’incidenza della scelta morale, di modo che l’approvazione o la proibizione etica di una determinata applicazione scientifica si traduce in condizione necessaria e a volte sufficiente per la sua liceità o illiceità, per il permesso o il divieto assicurati dal diritto. Ne consegue anche che in questa visione ermeneutica “essere” e “dover essere” vengono a coincidere e il problema ermeneutico si distacca dal problema di un “sapere puro”, separato dal dover essere.

Tutto ciò rende il processo legislativo di regolamentazione tanto più arduo, non potendo trascurare la riflessione etica. Diversamente la capacità generalizzante, universalmente aggregante del diritto tende a perdersi al posto di una scelta autoritaria, la cui condivisione è del tutto marginale e poco democratica.

Siamo comunque in un settore in cui la società è portata a domandarsi quali siano le fonti di diritto cui fare ricorso: le leggi nella forma di regole generali ed imperative o, invece, una legislazione di garanzia che indichi i principi generali, non negoziabili, una c. d. legislazione mite, volta ad assicurare la dignità della persona e tutelare i diritti fondamentali garantiti dalla costituzione. Legislazione spesso integrata dall’intervento del giudice nella forma equitativa delle decisioni argomentate caso per caso. È frequente il richiamo ad una regolamentazione giurisprudenziale in sostituzione di regole legislative.

Tanto più che nel nostro Paese, in assenza di uno specifico intervento normativo, i tribunali, la Corte di cassazione e la Corte costituzionale si sono dovuti pronunciare più volte su problemi sollevati dalle biotecnologie, come le questioni di inizio e fine vita, di PMA eterologa, di contratti di maternità, così da supplire allo stallo degli organi legislativi sui problemi nuovi ed eticamente dubbi per la società.