Nessun leader italiano oserebbe oggi criticare il 41 bis perché equivarrebbe a un suicidio politico. Questo vale per tutti: sei di destra, di centro, di sinistra poco importa davvero, a sostenere carcere duro ed ergastolo ostativo c’è un coro compatto e trasversale.

Illuminante in tal senso è il sondaggio di Euromedia Research presentato dalla direttrice Alessandra Ghisleri: non solo oltre il 40% degli italiani approva il provvedimento ma un buon 30% lo vorrebbe inasprire perché considerato troppo morbido e addirittura estenderlo ad altri reati.

Il picco giustizialista viene toccato tra l’elettorato dei cinque stelle, ma anche i sostenitori di Pd, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega e, in misura leggermente minore, di Italia viva e Azione sono largamente favorevoli al provvedimento nato negli anni 90 per contrastare Cosa Nostra. Oltre una cultura forcaiola di lungo corso, che lievita nella nostra società dalla “rivoluzione” di Tangentopoli passando per il ventennio berlusconiano e per le sue tricoteuses, il caso Cospito ha riacceso i riflettori dei media sul 41 bis isterizzando il dibattito: «Sembra di assistere ad uno scontro tra tifoserie» fa notare Ghisleri su La Stampa prendendo in esame le visite di alcuni parlamentari del partito democratico all’anarchico detenuto nel carcere milanese di Opera che alcuni esponenti di destra hanno liquidato come un «inchino ai mafiosi».

In questo tritacarne chi si permette di far notare piccole grandi ovvietà, come ad esempio la condanna all’Italia emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha equiparato il 41 bis alla tortura, viene marchiato di infamia, associato alla criminalità organizzata. Per non parlare degli avvocati difensori che per buona parte dell’opinione pubblica sono “complici dei boss”.

Eppure basterebbe spulciare la nostra Costituzione, che diventa “la più bella del mondo” soltanto quando ci fa comodo, per ritenere il 41 bis incompatibile con un sistema democratico. Come recitano gli articoli 13 e 27 «è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà», mentre «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».

Impressiona il silenzio della classe dirigente italiana, maggioranza e opposizione, su queste flagranti violazioni dello stato di diritto e avvilisce la violenza strumentale con cui i partiti si danno battaglia in un’escalation giustizialista di accuse e veleni incrociati.

Una politica che ha rinunciato da tempo a creare “senso comune” non può che divenirne la prima vittima. Così, invece di difendere i principi della democrazia anche a costo di rivelarsi impopolare, preferisce seguire il bagliore dei sondaggi le indicazioni degli uffici marketing e carezzare il popolo dalla parte del pelo titillando i suoi istinti più bassi. Immersa in un perpetuo mainstream e pronta ad affidarsi all’algoritmo di turno.