Il 25 maggio scorso, su questo giornale, Gennaro Grimolizzi ha intervistato Stefano Delfini, il direttore del Servizio analisi criminale della Direzione centrale di Polizia criminale sul rapporto tra delittuosità reale e percezione di ( in) sicurezza dell’opinione pubblica. Oltre alle evidenze empiriche indicate, di grande interesse, mi pare di particolare rilievo l’impostazione che, direi collaborativamente, ne danno l’intervistato e l’intervistatore. Forse, anche in termini di sicurezza, l’Italia è meglio di come la raccontiamo - o ce la raccontano.

È una questione di attualità sociologica e mediatica che investe, per esempio, anche il campo dell’economia: non solo il Paese ha reagito alle diverse recenti gravi crisi crescendo a ritmi assoluti da miracolo economico, stile metà degli anni ’ 60, ma cresce anche comparativamente molto di più dei principali partner internazionali, quelli, tanto per dire, che nella pubblicistica nostrana, fino a un paio d’anni fa, erano portati a esempio di virtù ( per poi stigmatizzare la modesta vitalità del nostro sistema produttivo). E nonostante tutto questo, prevale ancora l’enfatizzazione dei difetti e dei gap di contesto rispetto ai buoni risultati raggiunti.

Mi sovviene, come elemento unificante ed esplicativo delle visioni deteriorate dell’Italia, una riflessione dovuta al grande Giovanni Sartori, che già una trentina d’anni fa e a proposito di riforme istituzionali - quindi un altro tema, ben diverso da sicurezza ed economia ( ma tutto si tiene e si contamina) - parlava di negativismo semplicistico o infantile: poiché c’è tanto di sbagliato nel mondo e nel nostro modo di organizzarlo attraverso le istituzioni pubbliche e private, ad assumere una postura negativa e una narrazione pessimistica si guadagna comunque una rendita di posizione mediatica, a prescindere da come stanno le cose in realtà. Diciamo che raccontare il male e il malessere rende socialmente molto di più che raccontare il bene e il benessere. Ed è anche più agevole. Da qui il riferimento alla dimensione puerile dell’approccio che si caratterizza, di conseguenza, per l’esclusione delle analisi, per il cherry picking del dato - scelgo ciò che mi serve per dimostrare tesi strumentali - e per la sostanziale assenza di articolazioni argomentative e di formule dubitative ( sempre opportune quando si affrontano argomenti complessi riguardanti la definizione dei “fatti” sociali). Sarebbero infiniti gli esempi dell’applicazione di questo schema a qualsiasi argomento che abbia un minimo d’interesse nell’attuale dibattito pubblico.

Ho detto dell’Italia produttiva che da nove trimestri batte tutte le previsioni e i previsori, facendo sempre meglio delle attese. Per quanto riguarda sicurezza, delittuosità e percezione, c’è da rilevare che anche dai lavori dell’Ufficio Studi Confcommercio sull’argomento, non solo emerge una progressiva chiusura della forbice tra trend dei delitti, opportunamente calcolati, e percezione degli imprenditori, ma è evidente che i buoni risultati ottenuti nel contrasto ai reati stanno passando nelle valutazioni dei protagonisti dell’impresa diffusa, del commercio, del turismo e dei servizi. Gli imprenditori intervistati dichiarano di percepire in riduzione alcuni tipi di reato che effettivamente anche dai dati sulle denunce risultano in forte contrazione - al di là della ripresa post- pandemica, perfettamente spiegabile con il ciclo economico influenzato dalle chiusure. E, soprattutto, testimoniano correttamente che le forze dell’ordine e le istituzioni danno un contributo positivo a rintuzzare gli effetti perniciosi del crimine, organizzato o meno. Inoltre, la frazione di imprenditori che dichiarano di sentirsi “in completa solitudine” rispetto alle azioni necessarie a contrastare la commissione dei reati a carico della propria azienda è fortemente decrescente ( da quasi il 29% dell’aprile 2020 al 18% dell’aprile 2023). Sono evidenze confortanti.

A questo punto, l’obiezione di coloro che sanno quanto bene nel mondo sia necessario prima di smettere di parlare del male e sempre e solo del male, è che con la mia propensione a esaltare i buoni risultati variamente documentabili, sto invitando “ad abbassare la guardia”: contro la criminalità, per esempio, o deflettendo negli sforzi di migliorare il contesto produttivo, o inducendo a intraprendere pericolose modifiche istituzionali ( bollate tassativamente, quindi, di avventurismo irresponsabile).

Peccato non vi sia alcuna consecutio logica tra il racconto dei fatti sempre articolato e giudiziosamente dubitativo - e il suddetto presupposto invito. Perché non c’è alcuna professione di ottimismo. Si tratta di spiegare che il Paese non è fermo. Anzi appare vitale su tanti fronti. E se conquistiamo un po’ di capitale civico attraverso il riconoscimento dei miglioramenti raggiunti nel contesto socio- economico, ciò servirà per sostenere tanto la propensione agli investimenti produttivi quanto a rafforzare le infrastrutture immateriali che rendono il mondo, e la nostra Italia, un luogo per niente ostile al civile convivere.