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La Corte Costituzionale
La Corte costituzionale ha depositato, due settimane fa, la sentenza n. 143/ 2024 sui diritti delle persone transgender, con la quale riconosce l’opportunità del criterio binario maschio/ femmina al momento della trascrizione in Comune dell’atto di nascita e dichiara la incostituzionalità dell’art. 31, comma 4 del decreto legislativo n. 150 del 2011, che impone l’autorizzazione di un giudice agli interventi chirurgici di riattribuzione del sesso. Ricordiamo che la legge n. 164 del 14 aprile 1982 (“ Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”) è stata la prima in Italia a introdurre la possibilità di cambiare il sesso in forza di sentenza del Tribunale passata in giudicato, previa consulenza medica.
Bisognerà attendere il ricordato d. lgs. n. 150/ 2011 (“Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69”) per ottenere che l’intervento chirurgico non fosse più richiesto obbligatoriamente, ma solo quando risultasse necessario.
Un definitivo accantonamento dell’obbligatorietà dell’intervento chirurgico per la rettificazione anagrafica del cambiamento di sesso verrà confermato nel 2015 con la sentenza della Corte di Cassazione n. 15138/ 2015 e nel 2017 con la sentenza della Corte Costituzionale n. 180/ 2017.
Il Tribunale di Bolzano solleva ora questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge 164/ 1982 e dell’art. 31, comma 4, del d. lgs. 150/ 2011. L’art. 1 della legge 164 violerebbe gli articoli 2, 3, 32 e 117 primo comma della Costituzione. Quest’ultimo nella parte in cui la legge afferma che “la rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passato in giudicato, che attribuisca ad una persona sesso diverso da cui l’enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”.
Questa formulazione, osserva il Tribunale di Bolzano, non consente di accogliere la domanda di rettificazione verso un altro genere non binario maschio/ femmina. Pertanto l’articolo 1 della legge violerebbe altresì il principio di uguaglianza, perché a coloro che percepiscono una identità di genere non binaria sarebbe preclusa la rettificazione di sesso, viceversa consentita alle persone con identità binaria, in tal modo evidenziando una chiara discriminazione. A sua volta l’articolo 31, comma 4 del decreto legislativo 150/ 2011 violerebbe gli articoli 2, 3 e 32 Cost. “nella parte in cui prevede che quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico- chirurgico il tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato”.
Il Tribunale di Bolzano dubita della ragionevolezza del regime autorizzatorio previsto dalla normativa censurata, la quale affida al giudice il vaglio ultimo sull’effettiva appropriatezza dell’intervento chirurgico nell’ambito di una valutazione complessiva che non si limita al solo aspetto medico, ma determina rilevanti conseguenze sociali.
La Corte costituzionale, con la recentissima sentenza 143 citata all’inizio, dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge 164/ 1982, facendo ricorso a molteplici motivazioni. Fra queste si premette che la legge in vigore nel nostro Paese è legata alle caratteristiche fisiche che fanno sì che alla nascita una persona venga identificata, attraverso un sistema esclusivamente binario, come maschio o come femmina, profondamente radicato e accettato nella nostra società.
Osserva ancora la Corte che questa registrazione maschio/ femmina è una fonte di identità e di protezione. In caso contrario si verrebbe ad istituzionalizzare legalmente una specifica identità di genere che non ha alcun riconoscimento normativo nel nostro ordinamento e che provocherebbe una vera e propria stigmate legale della persona, dalle conseguenze psicologiche e sociali imprevedibili e rischiose.
La Corte ricorda tuttavia che sono diversi gli ordinamenti europei (Belgio, Malta, Austria, Paesi Bassi, etc.) che hanno riconosciuto e disciplinato l’identità non binaria, seppure in forme diversificate. Ricorda ancora che lo stesso diritto dell’Ue da tempo si evolve in tal senso, e infatti, per favorire la circolazione dei documenti pubblici tra gli Stati membri, presenta moduli standard recanti alla voce “sesso” non due diciture, ma tre: femminile, maschile e indeterminato.
Il Tribunale di Bolzano ha tra l’altro sottolineato che il criterio binario esercita una influenza normativa inappropriata, un effetto stringente per molte persone. D'altronde è nel pensiero postmoderno che la categoria gender porta con sé la critica al “binarismo sessuale”. Al contrario di quello che pensa la Corte, per queste correnti di pensiero le teorie gender esaltano il poliformismo sessuale e il pansessualismo, affermando la irrilevanza della differenza di genere nelle scelte possibili di vita.
Per quanto concerne poi l’illegittimità costituzionale dell’articolo 31, comma 4 del d. lgs. 150/ 2011 nella parte in cui prescrive l’autorizzazione del Tribunale al trattamento medico chirurgico, anche qualora le modificazione dei caratteri sessuali già intervenute siano ritenute dallo stesso Tribunale sufficienti per l’accoglimento della domanda di rettificazione di sesso, ne dichiara la illegittimità, come richiesto dal Tribunale di Bolzano.
Si motiva, da parte della Corte, che l’intervento chirurgico di adeguamento dei residui caratteri del sesso anagrafico non ritiene come necessaria una pronuncia da parte del Tribunale, così che la prescritta autorizzazione giudiziale non corrisponde più alla ratio legis. Il trattamento chirurgico è stato quindi configurato “non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione, bensì come possibile mezzo funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico” nel quale l’intervento giudiziale non ha ragione di essere.
La sentenza della Corte nel suo complesso, pur ribadendo ancora la necessità del criterio binario, porta avanti argomentazioni che possono facilitare il riconoscimento di tutte le identità di genere e la loro uguaglianza davanti alla legge. Spetterà al Parlamento, come auspica la Consulta di Bioetica Onlus, riconoscere la ragionevolezza delle argomentazioni della Corte costituzionale e arrivare ad adeguare le proprie leggi, sull’esempio di altri Paesi e della Ue, in modo che non limitino i diritti delle persone transgender e gender queer.