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La querelle innescata da alcune affermazioni contenute nell’edizione 2024 del Manuale di diritto privato di Francesco Gazzoni, professore emerito dell’Università La Sapienza, più che un chiacchiericcio estivo costituisce un’occasione per ribadire la necessità, sempre, di esprimere le proprie opinioni in maniera mirata e coerente con la specifica finalità (nel caso, la didattica universitaria). «I magistrati appartengono in maggioranza al genere femminile, che giudica non di rado in modo eccellente, ma è in equilibrio molto instabile» in determinati giudizi; i magistrati (in genere) «non di rado appartengono alla categoria degli “psicolabili”»; la magistratura è preda della hybris, che la fa sentire superiore alla legge, a livello di padreterni». Sono alcune delle frasi che hanno generato una vera e propria rivolta negli appartenenti alla magistratura, ma che devono indurre alla riflessione anche chi magistrato non è. C’entra poco la libertà d’insegnamento (art. 33 Cost.) perché se è vero che noi professori universitari non siamo dei trasmettitori asettici di nozioni, è anche vero che ogni libertà implica una responsabilità, in questo caso di assolvere al proprio compito trasmettendo delle conoscenze inerenti alla materia e dotate di un loro fondamento. Intanto, c’è un errore di fondo nelle opinioni espresse da Gazzoni, quello di “fare di tutta l’erba un fascio”, attribuendo determinate (pretese) connotazioni negative alla magistratura nel suo complesso (o, per uno specifico aspetto, a tutte le donne-magistrato), generalizzando forse per semplificare ma in maniera arbitraria, quasi che il magistrato appartenga a una non meglio precisata categoria antropologica.
Lo fa, poi, non avvalendosi di argomentazioni credibili. Affermazioni apodittiche, non adeguatamente supportate, cui si potrebbe aderire solo fideisticamente. Ma le proprie convinzioni e i propri pregiudizi non possono essere trasformati in assiomi specie in un manuale vista la sua funzione didattica e da un docente universitario. Come ha icasticamente affermato in questi giorni, a commento della vicenda, Giovanni Pascuzzi, per anni ordinario di Diritto privato comparato a Trento e ora Consigliere di Stato, «esiste un metodo scientifico che i professori devono rispettare quando fanno delle affermazioni». Altrimenti potremmo essere candidati a guidare una setta, a propagare dei dogmi che sono l’esatto contrario della conoscenza scientifica, verificabile in quanto tale. Dispiace e stupisce che in questo biasimevole inciampo sia incorso un professore autorevole e apprezzato come Francesco Gazzoni, il cui manuale è stato non soltanto ampiamente adottato nei corsi universitari ma adoperato nel tempo da tanti aspiranti magistrati, molti dei quali poi divenuti tali. È un paradosso che un testo per anni considerato un punto di riferimento pressoché irrinunciabile divenga una sorta di j’accuse nei confronti di ipotetici soprusi dell’ordine giudiziario. Un tradimento in piena regola del padre nei confronti dei suoi numerosissimi figli sparsi nei tribunali che non trova a prima vista una spiegazione. Dispiace anche perché alcune delle questioni impropriamente agitate dall’illustre accademico meriterebbero tutt’altro interesse e più congrua analisi: possono le modalità di reclutamento dei magistrati vigente essere considerate ottimale? Può il sistema di progressione in carriera, di fatto fondamentalmente automatico, essere ritenuto migliorabile, al fine di privilegiare il merito? Quali sono i confini della c.d. “giurisprudenza creativa”? Resta il fatto che ci troviamo di fronte, più che a un aggiornamento, a un arretramento del volume che fa sue visioni obsolete offrendole “in pasto” acriticamente a studenti poco più che maggiorenni (la materia è del primo anno). Ma è questa la magistratura secondo Gazzoni. Quasi un flashback che riporta ai tempi in cui alle donne era precluso l’accesso alla magistratura (in virtù di una legge del 1919), un divieto che neanche l’Assemblea Costituente (1947) riuscì a superare, essendo prevalsi pregiudizi e stereotipi in contrasto con il principio di uguaglianza: emblematico, ad es. l’atteggiamento di Giovanni Leone, favorevole all’ingresso in magistratura delle donne ma soltanto nelle Giurie popolari e nel Tribunale dei minorenni, non anche negli «alti gradi della magistratura» per i quali «solo gli uomini possono mantenere quell’equilibrio di preparazione» e il tecnicismo necessario. Un divieto spazzato via nel 1960 dalla Corte costituzionale. Perché, nella vita come nei film, C’è ancora domani.
* ordinario di Diritto processuale penale