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Dall’entrata in vigore della norma (D.L. 164/1991) che regola lo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose sono trascorsi trentadue anni durante i quali si sono succeduti diciotto ministri. Come ci spiega l’avvocato Pasquale Simari, che ha stilato una classifica in proposito (vedasi tabella), «il picco si raggiunge nei primi due anni di vigore della norma (1991-1993) con i Ministri Scotti e Mancino, che nel periodo della cosiddetta “mafia stragista” hanno disposto lo scioglimento di ben 73 Comuni»; mentre nel ventennio successivo «è stata mantenuta una media annua di scioglimenti compresa tra un minimo di 3 (nel 1995) e un massimo di 13 (nel 2005). Una improvvisa quanto inspiegabile impennata del numero dei commissariamenti per mafia si è invece registrata nel 2012, a seguito della nomina a Ministro dell’Interno del Prefetto Rosanna Cancellieri, che in neanche 18 mesi ha sciolto ben 37 enti, di cui 17 in Calabria. Dopo la parentesi di Angelino Alfano, con il quale i numeri sono tornati nella media ante Cancellieri, c’è poi stato l’exploit del calabrese Marco Minniti, che ha battuto ogni record con lo scioglimento, in meno di un anno e mezzo, di ben 38 comuni di cui 18 nella sua regione di origine». Spiega ancora l’esperto: «la media si è di nuovo abbassata con il governo Conte 1, in concomitanza con la presenza al Ministero dell’Interno di Matteo Salvini, che ha commissariato 19 comuni in 15 mesi; quando alla guida del Viminale si è insediato il Prefetto Luciana Lamorgese in circa 38 mesi di mandato ha decretato lo scioglimento di 42 pubbliche amministrazioni, tra cui le Aziende Sanitarie Provinciali di Reggio Calabria e Catanzaro». Da quando si è insediato Piantedosi, ossia nove mesi fa, sono stati 7 gli scioglimenti. Facendo un calcolo tra i mesi di mandato e gli scioglimenti il primo posto in classifica è di Vincenzo Scotti (Democrazia Cristiana), seguito da Marco Minniti (Partito democratico) e Annamaria Cancellieri (tecnica del Governo Monti). Ma c’è la possibilità che un Comune riesca a ribaltare in sede amministrativa il provvedimento di scioglimento? Come ribadisce Simari nel saggio contenuto nel libro Quando prevenire è peggio che punire, curato da Nessuno Tocchi Caino, «alla grande discrezionalità di cui gode il Ministero dell’Interno nella individuazione delle situazioni sintomatiche del pericolo di “infiltrazione” o di “condizionamento”, si affianca l’estrema angustia del sindacato del giudice amministrativo che, secondo la tesi ormai maggioritaria, non può estendersi oltre il profilo della logicità delle valutazioni che sorreggono il decreto di scioglimento e, dunque, non può entrare nel merito degli elementi indicati nella relazione ministeriale. Sicché è preclusa qualunque possibilità di procedere alla verifica in contraddittorio della sussistenza delle circostanze». Un esempio? Nel 2019 la Prima Sezione del TAR Lazio ha annullato alcuni decreti di scioglimento poiché, dopo aver vagliato una per una le circostanze che motivavano i provvedimenti, è stata in grado di escludere, «per assenza di univocità e concretezza delle evidenze utilizzate, la ricorrenza di un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi, tale da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali in quanto tesa a favorire o a non contrastare la penetrazione della suddetta criminalità nell’apparato amministrativo». Una delle circostanze addotte dal Viminale per sciogliere un Comune calabrese era stata la partecipazione di un amministratore a un “memorial” in ricordo di un soggetto il cui padre era esponente della criminalità mafiosa. Un altro elemento è che venivano contestati agli amministratori dell’ente due casi di ritardata notifica di provvedimenti di revoca delle concessioni balneari, a seguito dell’emanazione di altrettante interdittive antimafia. «Dalla documentazione complessivamente presentata in giudizio, tuttavia – secondo i giudici del Tar Lazio – emerge un quadro fattuale caratterizzato dalla presenza di un notevole ritardo nel riscontro delle richieste di informazioni antimafia da parte della prefettura reggina; di contro, il Comune risulta essersi attivato celermente, appena avuto notizia delle interdittive». Racconta Simari che però «la Terza Sezione del Consiglio di Stato, presieduta dall’ex Ministro e Commissario Europeo Franco Frattini, con decreti monocratici emessi a poche ore di distanza dal deposito dei ricorsi in appello da parte della Presidenza del Consiglio, del Ministero dell’Interno e delle Prefetture interessate, ha sospeso l’esecutività delle sentenze del TAR Lazio, ordinando il reinsediamento delle commissioni straordinarie, in quanto “solo una valutazione complessiva, contestualizzata anche territorialmente, può condurre ad una valutazione appropriata di un provvedimento di speciale tutela avanzata dell’ordinamento, quale è lo scioglimento di un Comune, da adottarsi dopo plurime, e di alto livello tecnico e politico, fasi procedimentali”».«In conclusione - dice Simari - , allo stato dell’arte, non rimane che segnalare, con estrema preoccupazione, i rischi derivanti dalla sempre più consapevole assunzione, da parte del Consiglio di Stato – ancorché in stretta connessione con il Ministero dell’Interno – di un ruolo proattivo, se non addirittura “creativo”, nella definizione degli strumenti amministrativi di contrasto alle mafie, spesso in aperto contrasto con le indicazioni provenienti dal Parlamento e dalla stessa Consulta».