Cosa sia un “reato internazionale” e quanto sia difficile introdurlo nella legislazione italiana in relazione alla gestazione per altri intrapresa da cittadini italiani in paesi che legittimamente la consentono e la disciplinano lo ha già ben spiegato sulle pagine di questo giornale (15 aprile scorso) un articolo di Marco Perduca, dell’Associazione Luca Coscioni, cui rimandiamo per i dettagli. Qui aggiungiamo solo che la necessità di convenzioni internazionali e il consenso dell’Onu rendono questo terreno assolutamente impraticabile.

Gli Usa e il Canada, che in forme diverse prevedono la Gpa, il primo prevalentemente come forma di business e il secondo come atto di solidarietà, non vi accederebbero mai. E così pure l’Ucraina, che, a occhio e croce, trae dalla Gpa la seconda voce del Pil nazionale, dopo il grano e i frumenti (anzi, oggi possiamo dire la terza, dopo la guerra che ha preso il primo posto). Altri paesi vi sono, anche in Europa (Grecia, Portogallo) e in tutto il mondo che hanno verso la Gpa un atteggiamento meno ostile di quello di Meloni, Binetti e via vietando (comprese alcune componenti dei movimenti femminista e lesbico).

Ma guardando alla proposta di legge princeps che è in discussione in commissione al Parlamento, si capisce subito che lo scopo vero non è quello di introdurre un “reato internazionale”, forse perché si intuisce che è una via impraticabile, bensì, più modestamente, si ricerca la perseguibilità nel nostro paese dei genitori italiani che si recano in paesi stranieri che consentono la Gpa per potere avere figli che loro non possono avere in via naturale: principalmente la perseguibilità delle coppie omosessuali maschili. Ma anche su questo secondo obbiettivo le cose, per l’eventuale legislatore, non sono messe così bene.

Il comma 6 dell’articolo 12 della legge 40/2004 prevede che “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”. La legge base in discussione in commissione si limita ad aggiungere le parole “anche all’estero” a tale norma. Nulla a che fare con il “reato universale”, ma solo una espansione della punibilità.

Ma la legge va anche interpretata, guai a darla per scontata. È abbastanza pacifico (vi è giurisprudenza sul punto) che i termini “realizza, organizza o pubblicizza” si riferiscono alla struttura clinica che opera, non ai genitori: la stessa entità della pena pecuniaria sta ad indicare il soggetto destinatario del divieto, che sarebbe illogico si riferisse a un privato. Figuriamoci, una multa fino a un milione di euro! Essa si attaglia a una impresa ma non a un singolo. Sul punto si è espressa con chiarezza, per esempio, la Corte d’Appello di Messina. Mai la Cassazione, che non ne è stata investita.

Vi è poi l’elemento sistematico: l’art.12 c. 8 L.40/04 manda esenti da ogni responsabilità penale l’uomo o la donna che cadano nei comportamenti vietati di cui ai commi 1, 2, 4 e 5 stesso articolo e stessa legge, cioè tutte le pratiche connesse alla procreazione medicalmente assistita. Non comprende dunque il comma 6, che è l’unico che richiama la surrogazione? È chiaro, perché esso non vuole indicare come responsabili penali i genitori, ma soltanto le cliniche o chi le pubblicizza o ne commercializza il “prodotto”: dunque era inutile ripetere l’esclusione dalla responsabilità penale di chi si limita a usufruire del servizio. Conseguentemente l’estensione della perseguibilità del reato riguarderebbe solo i centri clinici e non i genitori.

Le norme del codice penale che riguardano la perseguibilità dei reati commessi all’estero da cittadini italiani sono gli artt. 7, 8 e 9. Gli artt. 7 e 8 riguardano solo i reati cosiddetti politici: quelli cioè contro la personalità dello Stato, ancorché la ipotesi sub art. 7 p.5 sia molto generica, ma deve, giocoforza, essere letta alla luce della portata della norma: su questo concordano dottrina e giurisprudenza. E la ratio della norma è quella di indicare oltre ai casi di delitti contro la personalità dello Stato elencati specificamente da 1 a 4, anche altri possibili e residuali delitti politici (come ribadisce il primo comma dell’art. 8). Dunque non resterebbe che richiamarsi all’art. 9, che prevede i reati comuni compiuti all’estero da cittadini italiani. La perseguibilità di questi, però è prevista in via generale al primo comma solo per i reati con pena non inferiore nel minimo a tre anni, mentre le ipotesi di cui al c. 6 art.12 L.40/04 attingono nel massimo a due anni. Quindi bisognerebbe fare ricorso al c. 2 che prevede la punibilità anche per pene inferiori ove vi sia richiesta del Ministero di Giustizia: che infatti in alcuni dei molti processi imbastiti contro i genitori negli ultimi anni (tutti, ma proprio tutti conclusi con assoluzioni) effettivamente talora vi fu, ma non bastò per configurare alcuna responsabilità in capo ai genitori.

A proposito di genitori, concludiamo con un punto fondamentale: in queste settimane si è parlato fino alla nausea di genitori dello stesso sesso alludendo esplicitamente e quasi unicamente alle coppie di genitori maschi. Anche se il Procuratore della Repubblica di Padova vuole procedere per le coppie lesbiche a revocare il riconoscimento della seconda figura materna. Facile prendersela con le coppie maschili: per loro è ontologico (almeno per ora, in futuro si vedrà) riconoscere che a monte c’è per forza un’ovodonazione e una Gpa. Dunque si procederà solo contro le coppie gay? E che dire di quelle coppie eterosessuali che sono costrette a ricorrere alla Gpa perché riconosciutamente sterili e quindi impotenti a generare o a condurre una gravidanza? Eppure sono loro la stragrande maggioranza che si rivolge all’estero per una Gpa. Un dato esperienziale, però basato su dati messi insieme negli ultimi 20 anni, suggerisce che per ogni coppia gay vi sono almeno 20 coppie etero che sono costrette a ricorrere alla Gpa all’estero.

E se per coloro che vanno in Ucraina è abbastanza facile dedurre che si sono avvalsi di una Gpa e poi con un’analisi del Dna accertarlo; per coloro che lo hanno fatto negli Usa è di fatto impossibile risalire alla pratica utilizzata, anche perché l’autorità giudiziaria americana quando decreta la genitorialità ordina anche la segretazione di ciò che vi sta a monte. Queste coppie etero dunque sfuggiranno agli accertamenti e alla possibile sanzione. Una disparità di trattamento che non potrebbe non essere portata subito alla attenzione della Corte Costituzionale, come diversa procedibilità basata unicamente sull’orientamento sessuale e dunque facilmente condannabile. Anche perché, se si volesse sul serio colpire lo sfruttamento della donna che si presta a fare da surrogata, il fenomeno riguarderebbe i genitori etero in primo luogo.

E allora, concludiamo dicendo che meglio farebbe il governo ad ammettere la Gpa anche in Italia disciplinandola con intelligenza ed equilibrio. Ma forse è chiedere troppo.