È indubbiamente ardito giocare la carta Togliatti in chiave liberale e contro i reati d’opinione. Ma del resto non fu proprio il primo ministro guardasigilli del governo De Gasperi a far votare, il 22 giugno 1946, la prima amnistia della storia repubblicana? Non era tanto il coraggio (o l’incoscienza) a guidare la mano del numero uno dei Pci, ha scritto ieri nel suo corsivo sulla Stampa Mattia Feltri, ma la consapevolezza di aver vinto la guerra, di avere il futuro in pugno e di essere «armato di idee così solide e strutturate da non temere di confrontarle con idee contrapposte».

Naturalmente non stiamo parlando di alte questioni giuridiche e politiche, ma di quella triste avventura annuale del 7 gennaio, quando un gruppo più o meno nutrito di nostalgici del fascismo va a commemorare in via Acca Larenzia i propri martiri con qualche braccio alzato di troppo. Palmiro Togliatti aveva previsto come reato solo il tentativo di ricostruire il partito fascista. Non temeva di confrontarsi con le opposte opinioni, neanche quelle meno democratiche, tanto era sicuro della saldezza dei propri principi. Furono le leggi successive, la Scelba del 1952 e poi la Mancino del 1993, a opera di due ministri democristiani, a slittare verso la punibilità dell’ intolleranza nei confronti di chi si ritiene essere a sua volta un intollerante. Cioè una forma di analisi del sangue non sui fatti, su eventuali reati commessi, ma sulla persona. Tu hai, per esempio, un’ideologia fascista, cioè intollerante e antidemocratica e io sono legittimato a usare nei tuoi confronti non la legge ordinaria, ma una norma speciale per quelli come te.

Per quelli che per esempio vanno a commemorare i propri morti con braccia tese e il lugubre grido “presente” per significare il ricordo nel proprio cuore di chi non c’è più. Naturalmente non stiamo parlando di persone che hanno lasciato i loro cari per morte naturale, ma di tragedie come quella di Acca Larenzia a Roma, su cui i processi non hanno dato risposte o gli omicidi a Milano di Enrico Pedenovi e Sergio Ramelli, assassinati da gente di sinistra.

Se tu vai a ricordare i tuoi morti con quella gestualità, con quelle modalità che ricordano l’ideologia del ventennio, dicono oggi i poco meritevoli nipotini di Togliatti, io ti voglio processato e condannato e incarcerato. La furia di manette, che non appartenne al capo comunista che fu il guardasigilli dell’amnistia ( e fautore del processo accusatorio) e colui che non volle marchiare gli ex fascisti con il reato di opinione, pare ormai il pane quotidiano di una sinistra sempre più incapace di trovare nelle tradizioni la propria identità. Ieri pomeriggio in aula a Montecitorio durante il question-time la segretaria del Pd Elli Schlein ha impugnato la bandiera della legge Scelba e chiesto lo scioglimento di qualche gruppuscolo neofascista residuale. Ma lo sa chi era Scelba e quanti morti hanno insanguinato le piazze italiane le sue leggi, onorevole Schlein? Vogliamo dunque lo Stato di polizia?

Ma si, lasciamo a questo punto che se la vedano i giudici. I quali alla fine si sono mostrati in tutti questi anni su questo argomento molto più sensati del legislatore. Producendo una giurisprudenza a macchia di leopardo che troverà forse una parola definitiva il prossimo 18 gennaio, quando la Sezioni Unite della cassazione decideranno su un caso milanese che ha quasi del ridicolo nel suo excursus processuale.

Il fatto parte dal 2016 e da una manifestazione in ricordo di un fatto che ancora oggi è un pugno nello stomaco della storia politica milanese, quando nel 1975 un gruppo di esponenti di Avanguardia Operaia assassinò un ragazzino di 17 anni, Sergio Ramelli, colpevole di aver scritto un tema che il solito docente compagno aveva pensato bene di divulgare. Per quella manifestazione del 2016 sono state indagate otto persone, prima assolte, poi condannate, poi con richiesta di assoluzione da parte del pg della cassazione e infine la decisione del ricorso alla Sezioni Unite.

Sarà quel che sarà, e speriamo che il furore assurdo di queste giornate non influenzi i giudici, che sappiamo saranno inossidabili e impenetrabili. Ma quel che è triste è il timore che sotto a queste piccole cose ci sia qualcosa di più grande e di più terribile, una sorta di incapacità di una parte della sinistra che speriamo non maggioritaria ad accettare il fatto che il fascismo è finito quando è finito, e non risorgerà. Ma sembra quasi che questo dispiaccia perché non c’è un’altra bandiera, oltre quella dell’antifascismo, cui aggrapparsi.