È vero che c’è sempre qualche punto nel quale la tragedia tocca la farsa. In Italia ce n’è uno dalle parti di Sanremo, nel dibattito, se così si può chiamare, sulla partecipazione del Presidente ucraino Zelenskiy alla serata finale del massimo appuntamento musicale nostrano e sulle modalità nelle quali esso si deve realizzare.

Pare si sia deciso che il previsto intervento registrato di due minuti del responsabile politico di un paese in guerra, per il quale il nostro Parlamento ha votato più volte consistenti aiuti militari, debba essere visionato in precedenza da Stefano Coletta, Direttore del settore varietà della Rai, forse il miglior dirigente di cui l’azienda disponga oggi. Ma non è questo il problema. Quando mai un comico o un rappresentante della satira ha accettato di sottoporre a censura preventiva il testo predisposto per una diretta in TV? Sono cose che non accadono dai tempi del monopolio e anche allora Dario Fo entrò in rotta di collisione con la dirigenza Rai per quello che aveva già fatto, non per quello che si proponeva di fare.

Se si invita un ospite lo si fa sulla base di un reciproco rapporto di fiducia.

Il Parlamento italiano vota e stanzia milioni di euro in sostegno dell’Ucraina, ma contemporaneamente la Rai stabilisce di non fidarsi delle dichiarazioni del suo massimo dirigente politico, che, se fosse arrivato a Sanremo nelle vesti professionali passate di intrattenitore brillante, si sarebbe giustamente rifiutato di andare in onda registrato e costretto a subire una censura preventiva. Guy Debord, il creatore del situazionismo, immaginava qualcosa del genere quando parlava di società dello spettacolo: un mondo nel quale tutto si capovolge, i programmi sulla cucina la fanno da padroni e i Presidenti di Stati amici possono sfuggire alla censura solo se assicurano che faranno della satira politica invece di un discorso serio e sincero.