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Quello sciocco obbrobrio del disegno di legge sulla maternità surrogata come reato universale ristagna nel passaggio dalla commissione all’aula, dopo che era stato solennemente promesso che “entro giugno diventerà legge dello stato”. Magari perché la maggioranza è tutta presa a tamponare le falle dei membri del governo e dei loro sponsor ( Santanché, Delmastro, La Russa e compagnia). Allora è forse utile fare il punto di come stanno le cose dopo una raffica di sentenze in materia della Corte Edu e di alcune sentenze di merito italiane.
Il 22 giugno la Corte Edu si è espressa con tre sentenze su 8 casi riguardanti l’Italia ed il suo divieto di riconoscimento di certificati di nascita stranieri, dei paesi dove era stata legittimamente praticata la Gpa, che attestavano la genitorialità di ambedue i genitori di intenzione e non solo di quello biologico. Si tratta delle decisioni sui ricorsi n. 59054/ 19 + 2; n. 10810/ 20 + 2; n. 47998/ 20 e 23142/ 21. Le tre sentenze ( e due soprattutto) non sono certo né preclare né esaustive: sono smilze e evitano di toccare argomenti fondamentali che pure le difese dei ricorrenti avevano sollevato ( cui aveva aderito anche uno stato, la Repubblica Ceca, che era intervenuto come parte necessaria poiché uno dei genitori aveva la sua nazionalità).
Le sentenze partono dal presupposto che ogni Stato membro è libero di considerare legittima o meno la Gpa: tale riconoscimento poggia su decisioni ormai assai pregresse e che sarebbe l’ora, di fronte a nuove realtà, di ripensare. Per chi, come l’Italia, vieta la Gpa ne discenderebbe che l’automatico riconoscimento del doppio genitore sarebbe “contro l’ordine pubblico”: qui vi è già un salto logico ingiustificato perché un atto che presupponga un fatto contra legem non significa affatto che sia anche contro l’ordine pubblico, non coincidendo la sanzione penale con la violazione di quest’ultimo, come ci insegna la stessa Corte Edu in tanti altri campi e, soprattutto, come ci insegna la dottrina italiana ( e la giurisprudenza che su questa si appoggia).
Ciò che è sacro agli occhi del giudice europeo è comunque il bene del figlio nato e dunque la pienezza dei suoi diritti, fra cui spicca il pieno riconoscimento della genitorialità all’interno della famiglia che lo ha voluto e accolto fin dalla nascita. Resta da vedere se il sistema statuale ( quello italiano, nei casi concreti) garantisca tale riconoscimento e siccome, seguendo le indicazioni della Sezioni Unite della Cassazione ( sentenza n. 12193/ 2019, ripresa poi sempre dalle S. U. n. 38l62/ 2022), ciò è possibile attraverso l’adozione in casi particolari, tanto basta.
La Corte Edu non scende nell’analisi di tale istituto: per esempio e soprattutto, non rileva che l’adozione in casi particolari non garantisce affatto la pienezza dei diritti del figlio venuto alla luce, né sotto il profilo dei tempi ( poiché la pratica relativa implica mesi, qualche volta anni di attesa e quindi mesi o anni di diritti negati o diminuiti: figurativamente il 50%) né soprattutto sotto il profilo dei soggetti coinvolti, poiché l’adottante può non presentare domanda di adozione senza che né il genitore legale né il figlio possano “costringerlo”. Il genitore legale, d’altro canto, può non volere o non potere prestare il proprio assenso all’adozione, bloccando la procedura. L’adozione poi è revocabile. I genitori che vivono stabilmente all’estero non possono chiedere l’adozione in casi particolari al giudice italiano. Lo stato di figlio è unico, è stato scritto finalmente sul codice civile, indipendentemente dalla famiglia in cui è stato generato. Finalmente questo ha eliminato dal nostro ordinamento i figli “bastardi” come si diceva una volta, “illegittimi” e anche i figli “naturali”, ma i figli di coppie omogenitoriali o di coppie etero provatamente sterili, restano ancora una categoria separata. Insomma, non ci pare che il bambino riconosciuto da uno dei due debba e possa aspettare la pienezza dei propri diritti perché essa dipende dai tempi semibiblici della burocrazia o dal consenso di altri: se finalmente i tempi sono stati maturi per cancellare tale anomalia per i figli “illegittimi”, non si capisce come possa essere tollerato creare oggi una nuova categoria peggiorativa di figli.
Eppure poco prima delle (carenti) sentenze europee, il 24 aprile 2023, era uscito un decreto del Tribunale di Milano, il n. 562/ 2023, relativo a una coppia di padri, in cui il Tribunale ha ritenuto preferibile, sia pure per la peculiarità del caso, la trascrizione integrale dell’atto straniero che li indicava entrambi come genitori, invece dell’adozione in casi particolari. La motivazione è pianeggiante e di buon senso, ma la segnaliamo perché essa dimostra quante riserve abbia la nostra giurisprudenza a riconoscere piena e automatica cittadinanza civile ai figli nati da Gpa. Tanto da farlo solo per la situazione estrema del caso deciso: uno dei due padri, infatti, quello legale, era deceduto.
Pienezza di diritti che dovrebbe essere garantita invece in modo generalizzato anche dopo l’eventuale entrata in vigore del reato universale di surrogazione. Perché, ricordiamocelo bene: finché ci sarà uno stato – fosse pure solo un atollo del Pacifico – dove sia possibile e consentito avere un figlio con tecniche assistite, ci saranno coppie che si riverseranno in quello stato per raggiungere la loro più alta aspirazione: avere un figlio.
Il che è tutt’altro che riprovevole purché non si umili o si costringa la donna che intende prestare se stessa, per bontà d’animo o per un onesto tornaconto, a portare avanti la gravidanza di un figlio non suo. E che cosa si vuole imputare a questa donna? Il corpo è suo e la gravidanza certo non lo menoma. Il nostro sistema tollera e disciplina che essa decida della vita di un futuro figlio suo. Perché non dovrebbe tollerare e disciplinare che sia essa e solo essa a decidere se prestare tutta se stessa per la gioia di una famiglia che vuole avere un bambino?