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Il presidente del Senato della Repubblica Ignazio La Russa
«Fratelli d’Italia chiede che ci sia, perché lo riteniamo assolutamente doveroso e necessario, una conferenza di capigruppo affinché si possa insieme esprimere la vicinanza di tutto il Parlamento italiano ad una giovane donna vittima in questo momento anche soltanto dell'arroganza e del sessismo verbale di un leader politico». Correva l’anno 2021, il partito di Giorgia Meloni era all’opposizione. Dai banchi della minoranza Ylenia Lucaselli puntava il dito contro Beppe Grillo, reo di vittimizzazione secondaria nei confronti della giovane che ha denunciato il figlio del comico per violenza sessuale.
Guai a prendersela con la ragazza, insisteva FdI, indignata per quel sessismo che voleva la giovane troppo disinibita, troppo qualcosa, e quindi, comunque, colpevole. Un copione che oggi viene recitato in senso inverso: la 22enne che ha denunciato il figlio del presidente del Senato era fatta di cocaina, quindi è inattendibile. O, come minimo, un filino spudorata, quasi quasi le sta bene. Lo stesso presidente del Senato ha interrogato (sic) il figlio e quindi il processo può dirsi chiuso: il giovane è senz’altro innocente, lei moralmente riprovevole. L’intellighenzia di destra si è subito schierata: era fatta e poi è stata fatta da La Russa, dice un raffinatissimo Filippo Facci, secondo cui il giusto e doveroso garantismo nei confronti del giovane figlio della seconda carica dello Stato va sostenuto cancellando qualsiasi garanzia per la ragazza che lo ha denunciato. Poche ore dopo, sommerso dalle critiche, quella frase se la rimangia: «Non la riscriverei», dice, ma solo perché noi non l’abbiamo capita.
Ma anche i giornali di sinistra non vogliono sfigurare, pubblicando il profilo di La Russa jr in perfetto stile lombrosiano, col sottotesto che lo vuole difficilmente innocente, perché nei testi delle sue canzoni inneggia alle droghe e racconta le donne non proprio come esseri con pari dignità degli uomini. Ci saremmo aspettati anche una didascalia con scritto: guardate che faccia. E immancabili sono le chat che raccontano il dramma interiore, slegato da qualsiasi contesto, da qualsiasi contraddittorio. Non c’è via di mezzo: ci dev’essere comunque un colpevole.
Ed è solo la contingenza a stabilire chi sia: se al potere c’è una forza politica e il presunto colpevole è di quella forza politica allora tutti addosso alla presunta vittima, che all’improvviso si ritrova dall’altro lato della barricata. Per le sue abitudini, per i suoi vestiti - grande classico -, perché è salita in casa di un uomo a notte fonda. Tocca ricontrollare i calendari per essere sicuri di non aver fatto un balzo indietro nel tempo. C’è chi addirittura sostiene che se pubblico dev’essere il nome del presunto colpevole, pubblico dovrebbe essere anche quello della presunta vittima. E al diavolo tutte le norme deontologiche, che in questa storia sono le grandi assenti, sotto qualsiasi punto di vista.
Non sappiamo cosa rimarrà di questa storia: magari, semplicemente, La Russa jr non è colpevole e la ragazza non ha provato ad incastrarlo. Oppure la storia è vera. O chissà: sarà la giustizia a stabilirlo. Ma nel frattempo, di sicuro, per entrambi è arrivata la sentenza. Perché il garantismo, troppo spesso, è solo una parola vuota, anche per chi ogni giorno si appella alla Costituzione. E finora nessuno sembra averne capito davvero il senso.