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Come è noto ormai da anni per la Fondazione Luigi Einaudi, e per il sottoscritto, quella della separazione delle carriere dei magistrati rappresenta la chiave di volta per la riforma del sistema giustizia in Italia. Ho avuto modo di ribadirlo anche giovedì pomeriggio, in audizione presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, interpellato nell’ambito dell’esame del recente disegno di legge costituzionale di iniziativa governativa, concernente “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”, che fa seguito a una serie di proposte di legge in materia, presentate dagli onorevoli Costa, Giachetti, Calderone e Morrone, sulle quali mi sono soffermato in occasione della mia precedente audizione nella medesima Commissione.
Inizio col dire che il mio intervento altro non è stato che la prosecuzione logica e cronologica dell’audizione a cui ho fatto cenno sopra, quando oggetto di confronto fu il disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare promosso dall’Unione della Camere Penali Italiane e dalla Fondazione Luigi Einaudi.
Ritengo che per valutare la proposta riformatrice all’attenzione delle Camere sia imprescindibile una comparazione con quanto già emerso in questi mesi di confronto politico e culturale. Sarò schietto e diretto. La legge di revisione costituzionale promossa dal ministro Carlo Nordio conserva il nucleo fondamentale delle proposte passate, introducendo finalmente nel nostro ordinamento la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e magistratura requirente. Ciò è garantito dai nuovi articoli 104 e 105 Cost., che prevedono l’introduzione di due distinti Consigli Superiori della Magistratura.
In tal modo, si porrebbe fine a quella intollerabile commistione tra giudici e pubblici ministeri che è all’origine delle distorsioni del sistema giustizia. Al riguardo, molto è stato detto e molto è stato scritto, anche da chi scrive. In Commissione mi sono però limitato a evidenziare la ragion d’essere della riforma: se il giudice deve essere terzo nel processo, come prescrive l’articolo 111 Cost., allora il giudice deve essere terzo nell’ordinamento. L’indebita confusione, che si fa nei media, nell’opinione pubblica, ma ahimè anche nella politica, dell’informazione di garanzia con la condanna di primo grado e delle indagini preliminari con il dibattimento, è il portato di una perniciosa confusione tra giudici e pubblici ministeri, all’interno e all’esterno del Consiglio Superiore della Magistratura. Bene, dunque, che si intenda tornare tra i paesi europei di democrazia liberale anche in materia di giustizia.
Il disegno di revisione costituzionale di iniziativa governativa prevede l’introduzione di un’Alta Corte Disciplinare. È indubbio che questo sia uno dei profili di maggior delicatezza della riforma. Lo spettacolo a cui abbiamo assistito in questi ultimi anni è – senza mezzi termini – indecoroso, poiché il 99% di valutazioni positive è un vulnus profondissimo al principio meritocratico, ma anche al buon senso comune. Quando i progressi di carriera all’interno di una Istituzione così importante, come quella della magistratura, si ispirano a logiche di appartenenza “politica”, ad essere lesi sono gli interessi dei cittadini. Sul punto, la riforma esprime regole condivisibili. Mi riferisco, nello specifico, alla composizione dell’Alta Corte, in cui siedono tre membri nominati dal Presidente della Repubblica, tre membri di “origine parlamentare” e nove magistrati individuati col metodo dell’estrazione.
Il nuovo articolo 105, comma 3, Cost., garantisce il coinvolgimento degli altri poteri dello Stato, così da superare l’autoreferenzialità nelle valutazioni, e consente di porre fine all’influenza delle correnti, trasformatesi, com’è noto, in un sistema para- clientelare avulso dal sistema costituzionale.
Innanzitutto, mi domando perché solo un’Alta Corte e non due. Un’Alta Corte per i giudici e una per i pubblici ministeri sarebbero più coerenti con la nuova architettura costituzionale.
Su altro versante, valuti la maggioranza, in armonia con le opposizioni, se la modifica del sorteggio per la selezione dei membri togati possa rappresentare un punto di convergenza, anche per evitare l’indizione del referendum confermativo e il conseguente prolungamento dei termini dell’entrata in vigore della riforma. Invero, un rilievo critico alla riforma è stata la previsione di un sorteggio “puro” senza la previa redazione di una lista, al pari di quanto avviene per il Parlamento in seduta comune. Il tema è comune sia all’Alta Corte che ai Consigli superiori. Una mediazione, su un sorteggio ponderato, potrebbe garantire la maggioranza dei 2/ 3 per l’approvazione del disegno di legge ai sensi dell’articolo 138 Cost.
Se fossi nella maggioranza, andrei incontro a quella che mi pare un’ulteriore proposta dell’opposizione spingendo anche a valutare l’intervento dell’Alta Corte solo come istanza di secondo grado, lasciando la prima valutazione ai due Consigli Superiori della Magistratura.
Ma queste sono questioni che riguardano rapporti politici tra i partiti, su cui non posso né voglio ulteriormente soffermarmi. In ogni caso, il giudizio su questo passaggio della riforma rimane positivo. Ulteriore questione riguarda i concorsi per l’accesso in Magistratura. Non mi pare possa esserci alcun motivo per rinviare a legge ordinaria questo aspetto, anche per evitare polemiche future.
Allo stesso modo, credo sia un errore non prevedere già in Costituzione due distinti concorsi pubblici. Nella migliore tradizione europea, se magistratura giudicante e magistratura requirente devono essere separate nelle carriere, è più coerente con la ratio della riforma l’introduzione già in sede costituzionale di processi di selezione autonomi.
Annotazioni a margine: non si capirebbe peraltro perché, nel caso di un solo concorso e di separati percorsi professionali da intraprendere successivamente, non sia previsto in questo “unico” momento di selezione, e nella successiva fase di formazione, anche l’avvocato.
Concludo con alcuni cenni riferiti a uno dei timori che circolano nel dibattito politico: la sottoposizione del pubblico ministero al potere esecutivo.
Ebbene, per comprendere la pretestuosità e l’infondatezza di tale obiezione è sufficiente leggere le norme. Il nuovo articolo 104 Cost. sancisce che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta da magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”.
Nessun timore, dunque. Il pubblico ministero rimane all’interno della magistratura, ordine autonomo e indipendente, privo di legami con il Governo, ma con una carriera separata da quella dei giudici.
Insomma, il pubblico ministero accusa e l’avvocato difende in posizione di parità di fronte ad un giudice terzo. Nessuna pulsione anti- democratica, ma il completamento del codice accusatorio che porta la firma di Giuliano Vassalli, insigne giurista, Presidente della Corte costituzionale ed eroe della Resistenza.
Come si sarà compreso in queste mie poche righe, condivido lo spirito riformatore della proposta. Tuttavia, sono costretto a muovere una critica al modus procedendi. Se non vi sarà almeno una lettura, sia alla Camera che al Senato, entro il finire del 2024, temo che il disegno di riforma rimarrà tale. Invero, si andrebbe a votare per il referendum confermativo (non obbligatorio ex articolo 138 Cost., ma di fatto scontato) a 2026 inoltrato, ossia alle porte delle elezioni per il rinnovo del Parlamento. Il che comporterebbe, credo, delle criticità evidenti per molte forze politiche. Attendere ancora sarebbe un grave errore, politico e “sociale”. Politico, poiché la separazione delle carriere è una riforma ampiamente condivisa dagli italiani – anche secondo tutti i sondaggi.
L’altra grande riforma costituzionale pendente in questa legislatura, il Premierato, invece, pone a mio avviso un numero altissimo di ostacoli ed insidie. Un errore “sociale”, perché sono trent’anni che i cittadini attendono una giustizia giusta, in cui possano difendersi in posizione di parità con l’ufficio di Procura, davanti ad un giudice realmente terzo.