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Matteo Renzi, leader di Italia viva
Prima l’inchiesta giudiziaria, poi l’inchiesta parlamentare. L’Italia vuol proprio distinguersi dal resto del mondo, che, pur interrogandosi e studiando per capire le ragioni scientifiche che stanno alla base della diffusione di una pandemia tragica come quella del Covid-19, non ne ha comunque cercato i “colpevoli”.
L’Italia no, l’Italia deve sempre ridurre tutto a questione giudiziaria e moralistica, deve sempre affannosamente chiedere “quante volte figliolo?”. Perché, se non dobbiamo essere tutti costantemente alla sbarra con i nostri reati davanti a un pm, dobbiamo per lo meno essere chiamati a rendere conto di un peccato nel confessionale.
Quel che è successo nel 2020 è stato violento e imprevedibile. Tutte le istituzioni, a partire dal governo Conte, fino agli organismi sanitari ai diversi livelli, alle Regioni e agli enti locali, sono stati chiamati dalla sorte e dalla responsabilità, a fare qualcosa, a combattere contro un nemico sconosciuto e portatore di malattia, sofferenza, morte. Indimenticabili le parole dell’assessore alla sanità della regione Lombardia, Giulio Gallera, “lavoravamo a mani nude”. Sarà uno di quelli che verranno puniti, ma poi salvati sul piano giudiziario, con il riconoscimento della bontà del lavoro svolto e dell’inesistenza del reato.
La magistratura è stata per molti, troppi mesi, prigioniera di un popolo di parenti e amici incattiviti, di una stampa orientata a mirare direttamente al corpo del nemico politico. Da una parte, il riflesso condizionato contro il premier Giuseppe Conte e il ministro della Salute Roberto Speranza, accusati di volta in volta di non aver provveduto a dotare ospedali e cittadinanza dei presidi sanitari, in particolare mascherine, oppure di non aver attuato il piano sanitario del 2006 sull’influenza. Dall’altra parte il bersaglio grosso è stato Attilio Fontana, governatore della Lombardia, che avrebbe dovuto invece essere lodato anche per esser stato il primo a indossare pubblicamente la mascherina protettiva e poi per quella proposta di fermare gli aerei in arrivo dalla Cina, che fu irrisa e sbeffeggiata. Gli si contestò invece non solo una sorta di inedito reato di “donazione di famiglia” per camici e mascherine, ma soprattutto l’infamante accusa di non aver creato tempestivamente la zona rossa a Nembro e Alzano, nella bergamasca colpita violentemente dal morbo. Non era neanche suo compito, e la magistratura glielo riconobbe. Ma non era neppure veritiero il fatto che si sarebbero potute salvare le vite. Neppure con l’iniziativa del premier o del ministro della Salute.
È molto probabile che non si potesse fare di più di quel che è stato fatto. Ed è inutile cercare capri espiatori, trasformando un’epidemia sanitaria in epidemia giudiziaria. Se al posto di Conte ci fosse stato un altro presidente del Consiglio, ci sarebbero stati meno morti, meno lutti, meno famiglie distrutte? Difficile domanda e difficile risposta. Certamente il partito più populista e forcaiolo quale è quello dei Cinque Stelle sarebbe stato in prima linea a chiedere non solo la commissione d’inchiesta ma anche il carcere per mezza Italia. Oggi l’”avvocato del popolo” si ritrova con un cappio politico al collo senza neppure rendersi conto di essere vittima solo di una piccola nemesi storica guadagnata sul campo. Del resto non è forse suo amico e sostenitore il direttore del Fatto quotidiano, Marco Travaglio, quello che, con la stucchevole abitudine a deformare i nomi, chiamava l’assessore lombardo alla sanità “Galera” con una sola elle?
Ma non si sottraggono alla vulgata del “vogliamo la verità”, “la gente deve sapere”, “vogliamo giustizia per tutti quei morti”, neppure le forze della maggioranza di centro-destra che hanno voluto e otterranno, pur dopo la necessaria terza lettura della Camera, la commissione d’inchiesta. La quale, come dice l’articolo 3 del disegno di legge numero 790, dovrà verificare se sia stata corretta la gestione dell’emergenza sanitaria durante l’epidemia e se le misure adottate dal governo e dalla dirigenza sanitaria siano state adeguate alla situazione. Se siano state efficaci e tempestive, e soprattutto se abbiano portato i risultati necessari.
Non è scandaloso chiederselo, supponiamo lo stiano facendo in tutto il mondo, se non altro per non trovarsi impreparati per eventuali emergenze sanitarie future. Ma sappiamo bene che le Commissioni parlamentari d’inchiesta hanno gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria, con la sola esclusione della possibilità di privare qualcuno della libertà. E sappiamo bene altre due cose. La prima: a ben poco sono servite in questi anni le varie commissioni speciali, da quelle sul terrorismo a quelle sulle stragi, che nessun contributo, o quasi, hanno portato verso la spasmodica “ricerca della verità”, quando la verità era già sotto gli occhi di tutti, come quella sul rapimento e uccisione di Aldo Moro a opera delle Brigate Rosse. Che sono sempre restate tali.
La seconda considerazione. Per quanto anomalo rispetto al resto del mondo, l’intervento della magistratura c’è stato. Ha fatto perdere del tempo e tentato di rovinare qualche reputazione, ma c’è stato. E ha assolto. I reati non ci sono stati, nessuno degli appartenenti alle istituzioni si era fatto untore e aveva sparso i germi. Nessuno è stato responsabile, diretto o indiretto, per quelle tragiche morti. Chi voleva il colpevole a tutti i costi, a partire dagli amici di Giuseppe Conte, è rimasto deluso. Ma sono le regole della democrazia. E faranno bene a ricordarsene, quando la commissione d’inchiesta sarà varata, i quindici senatori e i quindici deputati che ne faranno parte. Seguire la piazza, di qualunque piazza si tratti, di quella reale o di quella mediatica, è sempre pericoloso. E sicuramente contrario alla cultura liberale di un Paese democratico e allo Stato di diritto.