Prima erano solo avvisaglie, colpi a salve, avvertimenti. Ma ora l’ordine di colpire è esplicito, chiaro. E il bersaglio, naturalmente, è il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il quale è finito sotto il tiro incrociato della poderosa macchina da guerra mediatico-giudiziaria che da trenta e passa anni fa e disfa la vita politica del Paese.

Già da qualche giorno le procure della Repubblica - alcune e ben riconoscibili - avevano avvelenato l’aria con veline che accusavano il guardasigilli di voler lasciare a piede libero sequestratori, ladri e mafiosi (sic!).

Poi il livello dell’attacco si è alzato e i giornali di riferimento della “magistratura engagé" sono finalmente usciti allo scoperto. Tanto che il Fatto Quotidiano (e chi altri sennò) ha inondato la rete con un appello per chiedere le dimissioni di Nordio perché - sentite sentite - “il ministro della Giustizia ha dichiarato ripetutamente il falso, ha calunniato i magistrati e le forze dell’ordine sostenendo che usano manipolare e strumentalizzare politicamente le trascrizioni”. E qui ci sarebbe da ridere se non fosse che il paese è funestato da drammatiche storie di cittadini innocenti le cui vite sono state travolte da intercettazioni che anni dopo si sono rivelate “sbagliate” (una delle quali la trovate a pagina 11 del Dubbio, edizione 21 gennaio).

Ora, noi non sappiamo se la premier Giorgia Meloni, che pure ha lottato per avere Nordio a via Arenula, avrà la forza di resistere a questo attacco. Sappiamo però che dall’entourage del ministro fanno sapere che “tira una brutta aria”. Staremo a vedere.

Ma la situazione a questo punto è chiara: chi tocca i fili muore, chi prova a cambiare il sistema necrotizzato della nostra giustizia e le rendite di posizione della magistratura rischia il linciaggio. Per quel che ci riguarda non possiamo far altro che ricordare al ministro della giustizia le parole di un suo ex collega: “Resistere, resistere, resistere…”