In un recente confronto con l’avvocato professor Franco Coppi - rinvenibile su Radio Radicale (19 settembre 2023) il dottor Carlo Nordio, ministro della Giustizia, ha purtroppo confermato timori e tremori che erano stati segnalati per tempo su questo giornale ( 22 luglio 2023).

Nel ribadire il proposito di separare la carriera dei magistrati giudicanti rispetto a quella dei requirenti, egli ha riaffermato il proposito di riformare la Carta nella parte in cui prevede l’obbligatorietà dell’azione penale ( articolo 112 della Costituzione), all’unico scopo di rendere discrezionale l’azione penale. Posto che a Costituzione invariata sono state di recente emanate disposizioni volte a rendere efficace e uniforme l’esercizio dell’azione penale ( articolo 1, 6° e 7° D. Lgs. n. 106/ 2006, modificato dalla L. n. 71/ 2022, nonché articolo 3 bis att. c. p. p., introdotto dal D. lgs. n. 150/ 2022), sembra corretto concludere che - come si era temuto - il ministro aspira effettivamente ad assicurare al pubblico ministero la piena discrezionalità o, più esattamente, la libertà di perseguire penalmente.

Già era stato purtroppo inequivocabile il pensiero del ministro, ora confermato: «Nel processo accusatorio il pubblico ministero, che non è né deve essere soggetto al potere esecutivo ed è assolutamente indipendente, è il monopolista dell’azione penale e quindi razionalmente non può essere smentito da un giudice sulla base di elementi cui l’accusatore stesso non crede.

Per questo è necessaria una riforma radicale che attui pienamente il sistema accusatorio» (La Stampa, 7 luglio 2023). Orbene, a parte il fatto che la dicotomia processo inquisitorio/ accusatorio è puramente teorica e assai più sfaccettata, resta il fatto che il proposito del ministro collide (anche) con gli articoli 3, 25 e 111 della Costituzione, rendendo possibile al pubblico ministero di omettere l’azione (pro amico) o di agire (contra inimicum), un risultato che sotto il regime fascista si tradusse ovviamente nella dipendenza dei requirenti dal ministro della Giustizia.

Altrettanto sorprendente sembra l’ulteriore tesi esposta nell’occasione dal ministro, alla cui stregua egli potrebbe rinunciare alla separazione delle carriere di requirenti e giudicanti soltanto se anche gli avvocati potessero diventare magistrati ordinari; i quali invece ostacolano – a suo avviso - tale apertura, perché «non vogliono annacquare il loro vino buono con l’acqua degli avvocati». Da parte lasciando l’articolo 106, 3° della Costituzione, non sembra che tema siffatto sia stato mai trattato, specialmente in questi termini.