Ci vuole un bel coraggio, caro dottor Ingroia, oggi avvocato, ieri politico, e ieri l’altro accanito accusatore di innocenti. Parliamo del processo “Trattativa”, quello che ha condannato la procura di Palermo di cui lei faceva parte, come colpevole “oltre ogni ragionevole dubbio”.

E ci vuole un bel po’ di coraggio ad accusare un tribunale, quello della sesta sezione della cassazione penale, che ha assolto i vostri vecchi imputati, di aver emesso una sentenza «che odora di politica più che di diritto». E questo solo perché lei e i suoi ex colleghi siete usciti sconfitti e anche messi dietro la lavagna proprio perché facevate gli storiografi invece che i magistrati.

E insieme a voi un bel numero di giudici, in particolare quelli che nella sentenza di primo grado del processo “Trattativa” condannarono gli alti ufficiali del Ros, Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, oltre al senatore Marcello Dell’Utri, accusati di aver rafforzato la mafia, subendone e facendone subire a tre governi e un paio di presidenti, i ricatti con le stragi. Teorema poi corretto nel processo d’appello in cui i giudici, pur assolvendo Dell’Utri per non aver commesso il fatto, dichiararono ugualmente innocenti gli uomini del Ros dal punto di vista di soggettivo, ma attribuendo loro solamente la buona fede di aver trattato per il nobile fine di evitare le stragi, e non per aiutare le cosche.

Lei dice che la corte di cassazione, la quale non solo ha raddrizzato il verdetto con assoluzioni piene, per non aver commesso il fatto, ma ha accusato tutte quante le toghe che avevano pasticciato con questo processo politico di non aver applicato le regole del codice penale, di aver “abbassato la saracinesca”, per “chiudere questo capitolo storico e giudiziario”.

Quella saracinesca, avvocato Ingroia, non andava proprio aperta. Ha portato gravi danni al Paese, sul piano giudiziario, sul piano storico e politico e anche economico. Oltre a distruggere vite e reputazioni di persone per bene. Sa che cosa ci spaventa? La vostra buona fede, quella che vi ha portato fino a essere condannati, voi pubblici ministeri insieme a una pletora di giudici, “oltre ogni ragionevole dubbio”. E’ impressionante leggere dalla sentenza di cassazione che le ritiene infondate, ancora oggi le parole e gli argomenti con cui la procura generale ha presentato il ricorso contro la sentenza d’appello che aveva assolto.

Ancora a trent’anni di distanza da quei fatti che non sussistevano ma di cui voi avete voluto, da colpevoli, che esistessero e fossero reati, si è parlato di “alleanza ibrida” tra carabinieri e mafiosi e della “rilevanza penale di ogni genere di intesa”, perché sarebbe stato agevolato nella sua latitanza Bernardo Provenzano e rafforzato il potere di Totò Riina.

E ancora oggi lei, avvocato Ingroia, mescola le carte, quando parla di “minacce” mafiose che sarebbero arrivate al governo. Intanto stiamo parlando di tre diversi governi, quelli presieduti, nell’ultimo anno della prima repubblica, da Giuliano Amato e Aurelio Ciampi, e quello del 1994 di Silvio Berlusconi. L’ipotesi della procura di Palermo è che questi governi, in un certo senso anche spalleggiati da due Presidenti della repubblica, Oscar Maria Scalfaro e Giorgio Napolitano, avrebbero subito il ricatto di Cosa Nostra e avrebbero elargito favori e prebende ai mafiosi per far cessare le stragi. Gli ambasciatori del messaggio estorsivo e mediatori dell’operazione politica di agevolare la mafia sarebbero stati prima i tre alti ufficiali dei Ros e poi Marcello Dell’Utri. Sgomberiamo per un attimo il campo dal secondo momento storico, anche perché il governo Berlusconi non ha attuato nessun provvedimento favorevole ai detenuti di mafia e anzi in seguito renderà addirittura definitivo quell’articolo 41- bis dell’ordinamento penitenziario il cui alleggerimento sarebbe stata una delle richieste di Cosa Nostra.

Ciò nonostante la procura generale, che non si arrende all’assoluzione del senatore di Forza Italia per non aver commesso il fatto, ancora definisce “contraddittoria e illogica” la motivazione. Limitiamoci dunque a esaminare quel che accadde nel 1993, che è poi il punto centrale di tutto il processo. Chi c’era, chi ha buona memoria, come evidentemente ha per esempio il giudice Giorgio Fidelbo, presidente della sesta commissione della cassazione che ha emesso la sentenza finale del processo “Trattativa”, ricorda almeno due fatti. Il primo è una sentenza della Corte Costituzionale, la numero 349 del 28 luglio 1993, che invitava ad applicare ai detenuti l’articolo 41- bis in modo individualizzato e motivato. E poi le testimonianze di diversi cappellani carcerari e di giudici di sorveglianza che invitavano il governo all’applicazione corretta della norma, come riferì lo stesso ministro guardasigilli Giovanni Conso alla commissione giustizia della Camera il 3 novembre 1993.

Questi riferimenti sono ricordati dalla sentenza della cassazione, che non è proprio contraddittoria, come invece lei dice, avvocato Ingroia. Perché il motivo per cui il ministro Conso, nel rinnovare “individualmente” i decreti attuativi del 41- bis ne modificò 334 sulla base delle indicazioni ricevute, non dalle “minacce” mafiose, ma dalla corte costituzionale e dagli operatori carcerari e i giudici di sorveglianza. Gli alleggerimenti non riguardavano capimafia, ma detenuti che in gran parte non avevano nulla a che fare con le cosche. C’è un’altra cosa che lei pare ignorare, avvocato Ingroia. Ricorda quel che successe nell’estate del 1993, quando furono di gran fretta riaperte le carceri speciali di Pianosa e Asinara e centinaia di detenuti furono trasferiti di notte e posti al 41- bis? Ben pochi tra loro erano mafiosi, e ce ne era uno “particolare”, per quel che verrà dopo. Si chiamava Enzo Scarantino, le dice qualcosa il nome? Fu torturato, come testimoniò la moglie, e indotto al falso pentimento. Questa è storia.

Quanto tempo e denaro e privazione ingiusta di libertà per una dozzina di innocenti, anche nel corso dei vari processi Borsellino uno e due e ter eccetera. Perché ora non si arrende, insieme ai suoi ex colleghi, e magari anche con certi suoi amici giornalisti che hanno costruito carriere su questi imbrogli, dottor Ingroia? Avete preteso di scrivere la storia e la storia vi ha condannato. Ma un po’ di rimorso per il disastro che avete combinato nell’arco di trent’anni, neanche un pochino lo avete? La sua intervista al Fatto dimostra il contrario, purtroppo. Ma per fortuna non tutte le toghe sono come eravate voi. I due giudici che hanno firmato la sentenza “Trattativa” del 27 aprile e la cui motivazione è stata depositata il 10 novembre scorso, cioè il relatore Fabrizio D’Arcangelo e il presidente Giorgio Fidelbo, hanno dimostrato di essere diversi. Ora la saracinesca la tiri giù lei, dottor Ingroia.