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Può darsi che nella visione perfetta dei compiti che deve assumere il Principe per essere vincente, fini subordinati ai mezzi, ci sia una certa normalità. Per cui qualunque comportamento, se finalizzato a portare a casa il risultato, sia “normale”. Ma normale non è sinonimo di ” giusto”. E ancor meno può esserlo il palese baratto che sulla giustizia il governo Meloni e i ministro Nordio stanno mostrando con un comportamento che secondo le leggi di natura può apparire, appunto, normale. Getta il topolino vivo in pasto al serpente. Così tu ti salvi perché lui ha avuto il suo nutrimento e non ti molesta.
Se per portare a casa qualche riforma, pur importante e gradita a tanti, come quelle sui reati contro la pubblica amministrazione, sei costretto a gettare il topolino, cioè le garanzie nei confronti degli imputati dei processi di mafia, nella gola del serpente, cioè del popolo affamato di forche, hai disatteso il tuo compito di riformatore.
Prima di tutto perché in questo modo hai tagliato fuori non la mafia, ma tutto il sud d’Italia. Regioni che, dopo aver subito la disattenzione o attenzioni sbagliate da tanti governi che hanno tenuto per decenni luoghi meravigliosi come quelli della Calabria in condizione di sottosviluppo, stanno tuttora subendo la violenza della criminalità organizzata e l’insipienza di chi dovrebbe combatterla. Dire “ai diritti di Messina Denaro pensiamo un’altra volta”, mentre lui sta morendo, è un po’ come tagliare con l’accetta dalle riforme tutti i processi basati sui reati associativi e con l’aggravante mafiosa. Ma c’è di più. Perché si ha la sensazione che il fatto che questo governo abbia esordito sulla giustizia con un provvedimento repressivo e un po’ assurdo ( che non verrà mai applicato, scommettiamo?) come quello sui rave party, ma soprattutto sui reati ostativi, sia stato il passepartout per poter fare altre riforme. Getto il topolino dell’ergastolo ostativo nella gola del serpente dell’antimafia. La norma con il trucco, quello di fingere di abbattere il concetto di “pericolosità oggettiva” del detenuto e dargli l’illusione di poter accedere alla liberazione condizionale, come imposto dalla Corte Costituzionale. Ma con il trucco di introdurre una serie di vincoli- capestro che rendono impossibile il percorso.
Che cosa portiamo a casa, dopo aver dato in sacrificio questo primo topolino? Che cosa ci consente il serpente? Potrebbe essere l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, o almeno una sua modifica. Riforma importante per una serie di amministratori locali che vedono la propria carriera politica – perché alla notizia dell’informazione di garanzia si accompagna la pubblica vergogna - offuscata e a volte distrutta. Una riforma popolare anche in una parte dell’opposizione di sinistra, perché sostenuta da molti sindaci del Pd, da Gori a Ricci a Decaro. Un punto a favore del governo, dunque. Ma intanto il topolino dell’ostativo è morto. Ci sarebbe poi quell’altro, quello del concorso esterno in associazione mafiosa, quello che desta orrore negli altri paesi europei perché prima ha messo insieme due articoli del codice penale per crearne un terzo, ma poi ha consentito alla giurisprudenza di sostituirsi al Parlamento con la creazione di un nuovo reato. Questo topolino non è all’ordine del giorno delle riforme del Governo, ha detto ancora ieri il ministro Nordio. Quindi è morto in culla, nonostante i desiderata dello stesso guardasigilli. Però abbiamo messo in tavola qualcosa di appetitoso, per i pubblici amministratori, dopo il fallimento, per scarsa affluenza di cittadini, degli ultimi referendum sulla giustizia.
Parliamo della “legge Severino”, quella che impedisce di ricoprire cariche elettive a coloro che abbiano avuto una condanna per reati non colposi e che prevede anche una sospensione temporanea dall’incarico per quegli amministratori locali che abbiano subito una condanna anche solo in primo grado. Molti sono stati fin dal 2012, data di approvazione della legge, i tentativi di denunciarne la violazione dell’articolo 27 della Costituzione sulla non colpevolezza prima di sentenza definitiva. Ricorsi vani. Ma ora, e dopo un tentativo di referendum di cui fu garante e numero uno proprio Carlo Nordio, non ancora guardasigilli, il governo ha messo in campo, nell’ultimo Consiglio dei ministri, la riforma del Testo unico degli enti locali. Proprio per rivedere quel punto. Un’altra riforma che potrebbe avere l’approvazione di una parte dell’opposizione di sinistra. Non quella di Marco Travaglio ( e ce ne faremo una ragione), il quale ha già dato voce alla sua ossessione, perché ogni cambiamento sulla giustizia secondo lui porta le impronte digitali di “B”. Ma sarà invece contento perché, sempre nell’ultimo Consiglio dei ministri, ha preso corpo quello che era un timore di tanti giuristi e della stessa Unione delle Camere penali. Perché il topolino che voleva ridurre le intercettazioni è stato sacrificato al serpente della Direziona Nazionale antimafia che ha chiesto vengano aumentate. Anche contro la Cassazione che in diverse occasioni si era pronunciata in modo esplicito.
L’aggravante di mafia che consente il ricorso alle intercettazioni, ha sancito più volte la suprema corte, va contestata solo in presenza del reato associativo. Ora non più, sarà sufficiente l’intenzione di agevolare, anche con un singolo atto, l’attività di una cosca, per consentire l’uso delle captazioni.
Chi sentiva il bisogno di questa contro-riforma, oltre a tutto presentata sotto la forma di decreto, oltre al Procuratore nazionale antimafia che l’ha sollecitata? Non le procure sparse in tutta Italia, a quanto pare, visto che l’ultima sentenza della cassazione al riguardo risale a quasi un anno fa e nessuno aveva lanciato l’allarme sui processi in corso. Ma forse il provvedimento è utile ad allontanare le polemiche sulle dichiarazioni del ministro Nordio rispetto al concorso esterno. Così, altro topolino in gola al serpente. Sarà utile al Principe per raggiungere i propri fini politici? Forse normale, ma sicuramente non giusto.