Me l’ero persa. Per la verità, son parecchi anni che mi perdo la trasmissione Otto e mezzo condotta da Gruber. Eppure, c’è sempre un amico che ti fa: «Eh, no caro quella puntata lì non puoi proprio perdertela, almeno in un passaggio». Maledizione! Come non posso perdermela? So già che non mi piace per questo, questo e questo. Ma l’amico insiste e mi invia un video del 5 febbraio scorso, ospite d’onore Sigfrido Ranucci, anchor di Report (quello, me lo perdo sistematicamente da quando c’era Gabanelli…). Lo apro e punto al minuto segnalatomi.

La “Rossa” spara una domanda di quelle toste - «Sei preoccupato per la libertà di stampa, oggi, in Italia?» - che non mi sorprende, essendo nota la posizione dei giornalisti su quell’emendamento Costa che con disprezzo chiamano “legge bavaglio”.

È la risposta di Ranucci che mi affascina, al punto che non voglio privare i lettori del Dubbio dal conoscerla per esteso (mie, le sottolineature): «Sono preoccupato per il futuro, soprattutto per una serie di provvedimenti. A me preoccupa moltissimo la legge Cartabia, per esempio, la riforma del 2025. Noi da gennaio non potremmo parlare di persone che sono al centro di procedimenti penali fino a che non finisce il processo e neanche dei reati che ci sono dentro, descriverli con dei dettagli. Se i processi poi non si chiudono come stabilisce la Cartabia entro i due anni in appello o in un anno in cassazione, scatta l’improcedibilità, cioè il processo cessa. Non si potrà parlare di queste persone, non potremo parlare dei reati e ci sveglieremo in un mondo migliore senza aver fatto nulla per meritarcelo, ma soltanto perché non possiamo raccontare le nefandezze».

Per un nanosecondo, mi sono illuso che, in nome del diritto a informare e a essere informati ex art. 21 Cost. tanto sbandierato dalla categoria dei giornalisti, Gruber ristabilisse qualche punto fermo, così da consentire ai telespettatori di formarsi la propria opinione (qualunque essa fosse: critica o apologetica del progetto di limitare lo ius sputtanandi). Scioccamente, durante quel nanosecondo, ho immaginato che si precisasse: a) che la riforma Cartabia della giustizia penale non coincide col decreto legislativo sulla presunzione di innocenza; b) che questo decreto regola le modalità con cui Procure e Polizia giudiziaria possono informare sugli arresti effettuati e sulle indagini svolte; c) che il 2025 non è termine per l’entrata in vigore di alcunché concerna l’informazione sui processi; d) che, se Ranucci voleva riferirsi all’emendamento Costa, questo riguarda il divieto di pubblicare integralmente le ordinanze cautelari, non certo quello di dare informazioni sui processi in corso e su chi vi sia imputato e a che titolo; e) che il divieto auspicato da Costa cade al momento della conclusione delle indagini o dell’udienza preliminare; f) che l’improcedibilità (a breve destinata a essere abrogata) per irragionevole durata delle fasi di impugnazione non ha alcun effetto sul diritto di cronaca e quello di informare il pubblico.

Viceversa, la Gruber se ne è uscita rincarando la dose: «Una cosa gravissima, più che grave», abbandonando così nel più profondo sconforto i suoi teleutenti, indotti a credere che cali un buio complice e illibertario sulle notizie in materia di giustizia penale.

Fine del video. Lo sapevo che mi sarei arrabbiato a constatare come è gestita l’informazione giudiziaria, anche dalle superstar più impegnate del giornalismo televisivo. E invece ho fatto bene a guardarlo, a dar retta all’amico. Bisogna saperlo quanto si soffre a seguire certe trasmissioni, bisogna ricordarselo, perché poi quando te le perdi, godi. Non si gode mai abbastanza di quello che si perde, mai.