Piero Fassino è una persona per bene. Non lo diciamo solo per il fatto che sia stato ministro della Giustizia e sindaco di Torino senza esser mai stato sfiorato da un’ombra. Lo sosteniamo perché l’immagine e la storia della sua sobrietà calvinista di stirpe sabauda al limite del moralismo fanno a pugni con il quadretto del piccolo taccheggiatore di Chanel che ci viene dipinto. Ma è già partita la “caccia al ladro”.

Oddio, tutto può essere, secondo il calcolo delle probabilità. Tra queste anche il fatto che il signor Piero Fassino, settima legislatura in Parlamento, ultimo segretario dei Ds, gli antenati del Partito democratico, ligio uomo d’apparato, esangue e pallido nel suo loden ormai usurato, con il passare del tempo sia diventato cleptomane. E si gingilli, mentre passa dagli aeroporti che lo portano a Roma piuttosto che a Strasburgo, a sottrarre piccoli oggetti di scarso valore nei duty free. Ed essendo stato in un governo D‘Alema anche ministro guardasigilli, conosca il modo di farla franca, sulla base della statistica per cui il 98% dei furti rimane storicamente impunito. Un flop totale, tanto che un successore di Fassino al ministero di via Arenula, Marta Cartabia, ha stabilito che certi reati siano perseguibili solo a querela della parte offesa. Infatti è proprio il caso di Piero Fassino, la querela c’è, e l’ha presentata la polizia dell’aeroporto.

Lo “scandalo Fassino” è stato denunciato dal re degli scandali, il Fatto quotidiano, tre giorni fa. Complimenti per lo scoop, e soprattutto per il sobrio linguaggio: “Si è intascato il profumo”. E poi, nel titolo centrale della prima pagina, tutto bello colorato: “Duty free Fiumicino: il Pd bloccato col profumo in tasca”. Accidenti, manca solo che, dopo l’omicidio nautico, il parlamento venga colto dalla tentazione di introdurre nel codice penale il reato di “furto di profumo”. Fatto sta che quel 15 aprile, mentre il deputato Fassino era in partenza dall’aeroporto internazionale Leonardo da Vinci in direzione Strasburgo per partecipare ai lavori della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, nel duty free sia inciampato nell’episodio-scandalo che porterà a una denuncia per tentato furto nei suoi confronti.

Un dato è certo: il parlamentare del Pd non è proprio un multitasking. Sarà perché la capacità di svolgere diverse mansioni in contemporanea è una caratteristica più femminile che maschile. Fatto sta che, dopo aver preso da uno scaffale un profumo Chanel del valore di 130 euro e mentre trascinava il trolley, quando è anche squillato il telefono, Fassino ha infilato il profumo nella tasca del giaccone. “Non ho tre mani”, ha poi spiegato. Ma la saccoccia del giaccone (che evidentemente in primavera sostituisce il loden) ha immediatamente suscitato il verbo “intascare”. Che è poi quello che evoca la mazzetta. Perché politico più tasca, uguale intascare, cioè rubare. Perché si sa che i politici rubano. Inutile girarci intorno, la distrazione dello sbadato Fassino è stata presentata dalla stampa in modo quasi unanime come equazione di latrocinio politico. Tempi duri per gli uomini del Pd!

Infatti il giorno successivo lo scoop lo ha fatto Repubblica, che in certi colpi giornalistici, come per esempio intervistare i citofoni, cioè gli anonimi, non è seconda a nessuno. Infatti il quotidiano che fu di Scalfari ha trovato “la fonte”, una sorta di “pentito” più informato del grande fratello. La “fonte” dà del fattaccio del profumo una versione diversa da quella autentica del protagonista. Prima di tutto dalle immagini delle telecamere non si vede nessun telefonino e neppure alcun auricolare, dice. E poi Fassino aveva già passato le casse, quando è stato fermato da un sorvegliante, quindi aveva tenuto il profumo in tasca e non aveva pagato. Quale distrazione dunque? Ma ecco che arriva il cronista del quotidiano La Verità, che è andato sul posto, a spiegare che un duty free aeroportuale non è un supermarket, e le casse non fanno barriera, ma sono sparse qua e là. E lui avrebbe comunque dovuto vederle.

Probabilmente è proprio questo il motivo per cui a Fassino si contesta il tentativo e non il furto. Perché la giurisprudenza è chiara: fino a che il sospetto ladro è all’interno dell’area sorvegliata, il reato di furto non si è consumato. Se a questo si aggiunge il fatto che il valore economico dell’oggetto è ridotto, scatta anche l’attenuante della “tenuità”, che poi applicata a un incensurato porta all’archiviazione sicura. L’immunità parlamentare non c’entra niente. Dopo la riforma del 1993 l’autorizzazione alla Camera di appartenenza è necessaria solo per perquisizioni, intercettazioni e arresto.

Ma non pare che lo “scandalo” sia terminato. Ci si mette anche il Corriere, che presenta come ultima “novità” il fatto che Polaria, la polizia aeroportuale che ha sporto la denuncia nei confronti di Fassino, sarebbe alla ricerca di testimoni tra i dipendenti del duty free per accertare che il sospetto signor Fassino non abbia compiuto precedentemente altri furtarelli. Cleptomania dunque? Sentenza già emessa e anche con la recidiva? La caccia al ladro continua, temiamo.