È scomparso Bruno Segre, avvocato, giornalista, libertario, libero pensatore – così amava definirsi, in qualunque occasione. L’ultimo saluto è stato accompagnato da un sole pallido e dalla presenza di tanti di quelli che hanno fatto la storia della Torino del Novecento. In mezzo a quella folla composta e unita nella diversità – unica la complessità di un uomo come Segre e delle sue idee, dunque dell’eterogeneità delle sue appartenenze – c’ero anche io, che con il Novecento condivido giusto gli ultimi strascichi.

Cosa significa vedere questo evento dalla prospettiva della Gen Z? Ieri ( martedì per chi legge, ndr) ci è passato a fianco più un secolo di storia, in una cerimonia laica e laicista in cui i simboli del Novecento erano presenti in tutte le loro forme: dai fazzoletti dell’Anpi, all’internazionale socialista che sulle note di “Futura umanità” ha accompagnato l’ingresso del feretro nell’area crematoria.

Che cosa resta di Bruno Segre? Sicuramente la caparbietà di un uomo che diceva di sé “fino a quando sono vivo, voglio essere vivo”. Certamente la possibilità di leggere attraverso la sua vita i fatti del Novecento, tutto; parliamo di chi ha fatto la resistenza partigiana, ha difeso il primo obiettore di coscienza, ha lavorato perché il divorzio venisse legalizzato, per i diritti della persona dalla culla alla bara ( sarebbe meglio dire dalla culla all’urna, visto che è stato anche una colonna portante del movimento cremazionista). E tutto ciò Bruno Segre lo ha sempre fatto attraverso gli strumenti più fini della democrazia, agitando in una mano la penna del giornalista, nell’altra quella dell’avvocato.

A noi rimane un metodo guidato dall’intelligenza di disobbedire quando necessario. Rimane il suo insaziabile bisogno di giustizia e di libertà, che guarda caso era anche la brigata con cui ha combattuto in Val Grana dopo l’ 8 settembre.

Segre sosteneva che il mondo del potere si dividesse in due: chi cerca il potere per il potere e chi il potere per la giustizia. Pare che la giustizia lo abbia accompagnato da sempre: evidentemente la vita, come la storia e la filosofia, è fatta di eterni ritorni. A Torino si è celebrata la fine di un corpo e tutti ci siamo sentiti investiti di una responsabilità: quella di tradurre il suo ideale in pratica quotidiana, con la necessità di continuare a scuotere le coscienze fino a quando giustizia e libertà non siano pienamente compiute.