Come il leone di Ladispoli, ogni tanto Beppe Grillo si prende la libertà di forzare la gabbia in cui l’hanno rinchiuso per fare un giretto non autorizzato per strada. Così, domenica sera, dopo nove anni di clausura televisiva, l’ex comico si è riconcesso il lusso della vanità, propria dell’uomo di spettacolo che fu, impadronendosi dello studio di Fabio Fazio.

Ma, come il leone di Ladispoli, non basta manomettere una gabbia per una sera per dimenticare di essere una bestia ormai ammaestrata. Perché del capopopolo che riempiva piazze mandando a quel paese la gente non è rimasto molto. Di quell’arrogante re della foresta che imponeva a ogni parlamentare il copione da recitare e quando recitarlo non c'è più traccia. Solo il simulacro di un leader spaventato, trattenuto, imbrigliato nei vincoli contrattuali di quel mostro politico da lui creato e che non gli somiglia più per niente.

«Sono qua per capire chi sono io», dice Grillo, giocando col suo personaggio, in uno slancio generoso di sincerità di chi sa di aver fatto perdere la bussola ai suoi seguaci. «Io sono in base a quello che voi vedete in me», insiste disperatamente, rivolgendosi al pubblico in studio e a quello a casa. E quello che si può vedere nel Grillo della fine del 2023 è l’immagine di un uomo stanco, di un padre ferito che ha perso lucidità e di un garante capace di vigilare ormai solo sui bonifici che dal Movimento 5 Stelle arrivano sul suo conto in cambio del suo silenzio.

Le battute su Giuseppe Conte e Luigi Di Maio sono solo un vezzo, una licenza poetica, per ricordare a tutti che in fin dei conti c’è stato un tempo in cui lui e Gianroberto Casaleggio creavano personaggi in laboratorio. Ma sembrano passate ere geologiche da quando il comico e il “guru” terremotavano la politica italiana senza grandi risorse, senza alcuna struttura e senza alcun pensiero forte di riferimento. Messaggi diretti, zero fronzoli, e una quintalata di populismo erano gli ingredienti di un successo fulmineo quanto imprevisto nato sul web, cresciuto nelle piazze e sbocciato nelle urne.

Ora fa quasi impressione sentire Grillo parlare al passato della sua creatura politica: «Noi siamo stati un movimento evangelico, siamo nati il 4 ottobre, il giorno di San Francesco. Io ho una confusione totale non posso condurre e portare a buon fine un movimento politico, non sono in grado», aggiunge il fondatore, con un pizzico di malinconia. L’ex comico ripercorre tutte le tappe di una doppia carriera - artistica e politica - come chi si aspetterebbe almeno un po’ di riconoscenza per tutto il lavoro svolto. Ma l’uomo che fino qualche anno fa offriva visioni perentorie al suo pubblico votante ora cerca risposte negli altri. «Sono venuto qui per capire cosa devo fare», mette subito in chiaro davanti a Fazio. Eppure, probabilmente, per trovare pace Grillo dovrebbe semplicemente ascoltare Grillo. Già nel 2018, infatti, il fondatore definiva «biodegradabile» il suo Movimento, pronto a scomparire una volta raggiunti gli obiettivi e gli scopi per i quali era stato concepito. E ora che il M5S, questo Movimento, somiglia solo nel nome a quel folle progetto nato dall’ingegno di un comico e un imprenditore creativo forse è giunto il momento di lasciarlo andare, di liberarlo per liberarsi. Solo così, magari, il vecchio leone non tornerà più in gabbia.