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La tragica fine di Navalny lascia un grande vuoto nell’opposizione al regime di Vladimir Putin; il dissidente anticorruzione era infatti riuscito in questi anni, più d'ogni altra figura politica, a canalizzare i consensi di chi lotta per una Russia democratica e per un cambiamento radicale, in un campo che spesso presenta personaggi contraddittori o di scarso rilievo. Le madri dei combattenti in Ucraina, gli studenti pacifisti e quei pezzi importanti di società civile che da due anni contestano la guerra di Putin sfidando la repressione interna non hanno più una rappresentanza credibile.
Con l’invasione militare dell’Ucraina e con le leggi liberticide che colpiscono il dissenso, come il famigerato articolo del codice penale che punisce con il carcere che getterebbe «discredito» sull'esercito, il giro di vite contro gli oppositori si è ulteriormente accentuato. Il timore è che con la fine di Navalny, Putin abbia ormai una strada spianata davanti.
La parabola di Navalny inizia con le massicce manifestazioni per le elezioni del 2011 e i sospetti di brogli. Vennero pubblicate denunce nei confronti di funzionari e figure imprenditoriali vicine alla cerchia ristretta di Putin. Ora proprio questa capacità comunicativa su temi sensibili sembra venire meno. In realtà lo stesso Navalny aveva suscitato più di una critica per le sue posizioni nel periodo iniziale della sua carriera politica.
Dai commenti xenofobi sugli immigrati, la partecipazione alla Marcia per la Russia, parata annuale che attira monarchici, ultranazionalisti e gruppi di estrema destra, Navalny ha completamente cambiato l’orizzonte della sua lotta, passando a posizioni liberali e progressiste, sostenendo addirittura il movimento per i diritti degli afroamericani Black Lives Matter e prendendo posizione contro la discriminazione sistematica dei musulmani nel sistema carcerario russo. Posizioni che avvicinarono esponenti come Alexei Krapukhin, membro della sezione di Mosca del partito di centro- sinistra Yabloko. La capacità di Navalny dunque è stata quella di federare anime diverse caratterizzate pero da un impronta progressista come nel caso di Arshak Makichyan, ambientalista e attivista contro la guerra il quale ha immediatamente dichiarato all'indomani della morte: «Quello che è successo poco fa non riguarda quello che ha detto 10 o 15 anni fa, è quello che ha fatto negli ultimi tre anni».
Il panorama dell’opposizione a Putin è variegato, contraddittorio e soprattutto diviso: oltre ai pro- democrazia non mancano gruppi neonazisti che vedono nel presidente il traditore dell'idea di una grande Russia ( tanto che alcuni combattono nelle file ucraine altri in quelle russe). Così anche la sinistra e i comunisti sono divisi: la leadership del PC ha applaudito l'invasione dell’Ucraina, alienandosi diversi militanti di base contrari alla guerra “imperialista”. Poi ci sono diverse cellule anarchiche che tentano di sabotare lo sforzo bellico fattivamente. Mentre i liberali, sono pochi, per lo più all'estero e litigano tra loro.
Infine, c'è un dissenso “localista” all'interno delle regioni più remote della Russia come la Bashkira, a maggioranza musulmana, dove le proteste sono scoppiate a gennaio dopo che l'attivista Fail Alsynov è stato incarcerato per aver incitato alla discordia etnica e screditato l'esercito. Così, considerata l'incapacità di comporre uno schieramento credibile, l'opposizione è affidata a singole figure carismatiche come ad esempio Ilya Yashin, imprigionato per otto anni e mezzo per aver trasmesso in diretta streaming i crimini di guerra commessi dalle forze armate di Mosca nella città ucraina di Bucha, oppure il russo- britannico Vladimir Kara- Murza, condannato a 25 anni per tradimento. L'ultimo a rimanere ancora libero è Yevgeny Roizman, il popolare ex sindaco di Ekaterinburg, famoso per le sue colorite invettive contro il Cremlino sui social media. Probabilmente neanche lui sta dormendo sonni tranquilli.