Sfortunata Giorgia Meloni, stretta tra vacui cicisbei al suo seguito e oppositori politici sempre pronti a farle l’esame del sangue per misurare il suo tasso di antifascismo. Come se i suoi antenati del Msi non fossero regolarmente in Parlamento. Come se lei stessa, giovanissima, non avesse partecipato a quella “svolta di Fiuggi” promossa da Gianfranco Fini, fondatore di Alleanza nazionale, in cui il termine “antifascismo” era ampiamente scritto e dichiarato. Ma si sa, nella favola del lupo e l’agnello, i cedimenti non bastano mai. Ti do il dito e mi chiedi il braccio, nelle dicerie popolari.

Ma gli errori si pagano e l’errore c’è stato. E da oggi fino ai festeggiamenti del prossimo 25 aprile, il monologo dello scrittore Antonio Scurati sarà più diffuso dei suoi libri su Mussolini. Dalla sera di sabato, quando la conduttrice della Rai Serena Bortone ha comunicato al mondo intero che una grave censura era stata operata dalla Rai che aveva bloccato la recitazione del monologo sul 25 aprile dello scrittore, le sue parole sull’assassinio Matteotti e contro il governo e la sua premier con la “sua cultura neofascista di provenienza”, hanno avuto grande diffusione. Recitato su La7 e su Rai 3, pubblicato su diversi quotidiani. Sarà recitato nelle piazze il 25 aprile, si annuncia. Un successo dello scrittore e della sinistra, in piena campagna elettorale per le elezioni europee e diverse amministrative. E non parliamo dello scontato comunicato Usigrai, il sindacato che grida contro le censure a prescindere, anche quando non si registrano autolesionistiche esibizioni dei cicisbei di corte a darne motivo.

Evidentemente nella dirigenza della Rai non esiste la capacità di valutare, nelle scelte dei collaboratori, e della celebrazione degli eventi, una proficua valutazione di costi e benefici. Vuoi inserire, nel corso di una trasmissione su Rai tre, condotta da una giornalista come Serena Bortone, che definisce se stessa ”fieramente antifascista”, il monologo di uno scrittore come Scurati, altrettanto fiero da aver scritto libri non elogiativi su Mussolini? Sai bene dove i due, uniti nella lotta, andranno a parare, nella rete che fu un tempo definita “Telekabul”. Ma se il tandem antifascista può alzare gli ascolti, se il tasso di cultura dello scrittore può elevare la qualità del programma, forse vale la pena persino di erogare 1.800 euro allo scrittore-attore per la recitazione di un minuto. Certo, Scurati avrebbe fatto miglior figura a non chiedere soldi. E i dirigenti Rai a non fare i pitocchi, offrendone solo 1.500. Ma “signori si nacque e io lo nacqui”, avrebbe detto Totò.

Giorgia Meloni svetta come un’aquila, in questa rissa da pollaio. Ha pubblicato lei stessa il testo del monologo di Scurati, in verità nulla di eccezionale o brillante, “perché chi è stato ostracizzato e censurato dal servizio pubblico non chiederà mai la censura di nessuno. Neanche di chi pensa che si debba pagare la propria propaganda contro il governo con i soldi dei cittadini”. Certo, vien da chiederle, “eddai, e dillo che sei antifascista, così la piantano!”. Pur sapendo che non basterebbe, non basterebbe mai. Perché chi chiede il bollino blu lo chiederà sempre.

Sarebbe sufficiente ricordare tante ricorrenze del 25 aprile e le tante contestazioni nei confronti dei rappresentanti di governo non graditi ai dispensatori di bollini di garanzia, a coloro che vivono costantemente all’interno della cittadella assediata dai nemici, o meglio dagli infedeli. Diamo per scontante le contestazioni del 1994 nei confronti di Silvio Berlusconi. Ma che dire di quel che accadde a Milano nel 2006, quando il sindaco Letizia Moratti scese in piazza spingendo la carrozzina del padre Paolo Brichetto, ex deportato dal campo di concentramento di Dachau e premiato con medaglia della Resistenza dal presidente Ciampi? Successe che, come del resto capita ogni anno a Milano alla Brigata ebraica (immaginiamo già come andrà nei prossimi giorni), Moratti e il padre furono costretti ad abbandonare la manifestazione. Una vergogna per la democrazia.

Ecco perché è del tutto inutile che Giorgia Meloni si dichiari “antifascista”. Anche se pensiamo che dovrebbe comunque concederlo. È la presidente di tutti, lo ricordi. Rimane comunque un “però”. Così come Berlusconi, cui non si potevano neppure contestare ascendenti politici di destra, rimase sempre “il cavaliere nero”, così la premier, qualunque cosa dica o faccia per “lavare” il passato di qualche trisavolo, resterà, nell’immaginario della sinistra, la “Fascia protetta”. È l’epiteto con cui l’ha bollata domenica il titolo del “Manifesto”, non più, ahimè, il quotidiano di Rossanda e Pintor, ma di una sinistra sempre più discendente da Beppe Grillo.