Andrea Purgatori era un giornalista come ce li immaginavamo da ragazzi guardando i film americani. Se c'è un cronista italiano a cui si attagli perfettamente quella frase celebre pronunciata da Humphrey Bogart con sullo sfondo il rumore delle rotative e in stampa il giornale che inchioderà il cattivo di turno, «È la stampa, bellezza», quello è stato lui. È un'epoca nella quale chi lavora nei media ambisce soprattutto a commentare, interpretare, diffondere la propria opinione. Andrea Purgatori era un cronista e un cronista voleva restare. Cercava fatti e li raccontava. Lo faceva certo per passione civile, ma anche moltissimo per passione professionale. Per lui il giornalismo voleva dire quello, e il giornalismo è stato sino all'ultimo giorno dei suoi 70 anni di vita il suo lavoro e la sua vocazione.

Si era fatto le ossa negli Usa, con un master alla Columbia nel 1980, e si vede: quel modello di cronista affonda le radici più lì che da questa parte dell'Atlantico. Piero Ostellino, allora direttore del Corrierone, ebbe il coraggio di mettere nelle sue mani la cronaca ad appena 32 anni, nel 1985, e l'allora suo vice Paolo Conti, che all'epoca ne aveva 31, ha scritto sul Corriere un ricordo di quei giorni magnifico e commovente. Ci voleva coraggio allora per credere nelle idee innovative e nel talento di un ragazzo. Oggi ce ne vorrebbe anche di più ma la scommessa di Ostellino si dimostrò vincente.

Forse ogni grande giornalista è destinato a legare il proprio nome a una specifica inchiesta, anche quando, come nel caso di Purgatori, di misteri scandagliati e di altarini scoperti ne può vantare un intero catalogo. Per Purgatori quell'inchiesta è stata Ustica. Fu il primo a sollevare il velo sulla fitta rete di bugie, depistaggi, reticenze che nascondevano la verità su una delle più tremende stragi della storia della Repubblica, l'abbattimento del DC9 in volo sulla tratta Bologna-Palermo, nella notte tra il 27 e il 28 giugno del 1980. Una misteriosa telefonata mise il reporter sulla pista giusta già nelle prime ore dopo la strage e lui non la mollò più: «Era il tipo di storia che a un giornalista può capitare una volta nella vita, una volta nella carriera». Quella storia occupò la vita di Andrea per anni. Si trovò di fronte a quello che fu poi definito «il muro di gomma», titolo poi del film che dalla vicenda trasse nel 1991 Marco Risi. Lui stesso, con Daria Lucca del Manifesto e Paolo Miggiano avrebbe poi riassunto quella vicenda, un pezzo di grande storia del giornalismo italiano, A un passo dalla guerra.

Purgatori era rimasto un cronista anche in televisione. La sua Atlantide è stata sino a ieri, e non per modo di dire, una colonna della 7. Si occupava soprattutto di storia, di eventi del passato, ma lo faceva appunto con l'occhio del reporter e doveva proprio a questo taglio che permetteva di vivere il passato come se fosse cronaca e non storia il successo del suo programma. Ma il gusto per l'inchiesta non lo aveva perso, dopo Ustica la sua inchiesta più celebre è forse quella su Emanuela Orlandi, portata avanti con lo stesso metodo e la stessa perizia con i quali aveva affrontato il muro di gomma dagli studi del suo programma.

Era moltissime altre cose Andrea Purgatori: un uomo di grandissima simpatia, un professionista non solo stimato ma amato per le sue doti umane, uno sceneggiatore di gran successo che firma decine di film per il cinema e per la tv. Nel suo caso il cordoglio vastissimo che si è levato alla notizia dell'improvvisa scomparsa per una malattia fulminante non ha avuto nulla di retorico ed è stato, per chiunque lo conoscesse, una sincera manifestazione di vero dolore.