PHOTO
IMAGOECONOMICA
Nei 55 giorni più lunghi della storia della Repubblica, quelli nei quali Aldo Moro fu rinchiuso dalle Br nel “carcere del popolo” di via Montalcini, la famiglia del rapito emerse dall'ombra in cui era sempre discretamente rimasta per stagliarsi come vera controparte morale ed etica del Palazzo. Molto più delle Br, che adottavano la medesima logica gelida che portò lo Stato a negare una trattativa possibile e i brigatisti a commettere un omicidio anche dal loro punto di vista inutile e anzi controproducente.
Se nella sola vera tragedia politica della Repubblica italiana c'è una Antigone, quella fu, coralmente, la famiglia di Aldo Moro, rappresentata più di tutti dalla moglie del presidente della Dc Eleonora, Norina. La denuncia, anzi la condanna della famiglia, e di Eleonora in particolare, fu schiacciante. Fu quel funerale privato, chiuso e proibito alle autorità dello Stato e agli stessi ex amici di Moro, quelli che lo avevano tradito in nome della Ragion di Stato. Lo Stato fu costretto a una sinistra e per certi versi grottesca cerimonia funebre senza salma, l'immagine stessa della fine ingloriosa della Prima Repubblica.
La tragedia del 1978 ha segnato la vita di tutti i congiunti di Aldo Moro. Li ha spinti per decenni a interrogarsi, cercare risposte a domande che probabilmente neppure esistono, a scrivere e a conoscere alcuni dei rapitori. Ma ciascuno a modo suo e per vie spesso opposte. Tra tutti Maria Fida, la primogenita, scomparsa a 77 anni dopo una lunga malattia, un cancro combattuto per decenni e ripresentatosi per 26 volte, è stata la più tormentata e inquieta, forse quella per cui è stato più difficile, anzi impossibile, rimarginare la ferita profondissima. Maria Fida Moro era così, inquieta, tormentata, emotiva, instabile anche prima che le Br colpissero. La preoccupazione per la sorte della famiglia fu probabilmente determinante nello spingere il sequestrato a battersi come un leone, pur chiuso in quel cubicolo, per uscire vivo da sequestro. Lo dicono molto chiaramente i suoi scritti dalla prigionia. Più di tutti era preoccupato per il nipote Luca, figlio di Maria Fida che cresceva però passando moltissimo tempo dai nonni.
Maria Fida, la figlia ribelle, problematica e intransigente, fu anche la prima e l'unica a riaprire un canale di comunicazione con la Dc. Accettò la candidatura a senatrice nel 1987 ma la “riconciliazione” durò poco. Nel 1990 abbandonò lo scudiocrociato per passare a Rifondazione comunista ma dopo tre anni si avvicinò al Msi, sul punto di trasformarsi in An e rimase vicina al partito di Fini prima di aderire al gruppo formato da Lamberto Dini, con una candidatura fallita al Parlamento europeo, poi al Partito radicale, infine, con una sua lista, a sostegno della candidatura di Giachetti a Roma.
In questa vorticosa e spesso contraddittoria peregrinazione c'erano alcuni punti fermi. La difesa strenua e rigida dell'eredità politica del padre, che nel 2013 la portò a fondare insieme a Luca un movimento Dimensione Cristiana con Moro proprio per conservare e rilanciare la visione di suo padre. La convinzione che dietro il rapimento e l'assassinio di suo padre ci fosse una manovra oscura, il complotto. Due anni fa, quando uscì la serie tv di Marco Bellocchio sui 55 giorni, Esterno Notte, fu durissima: «O si decide che siamo personaggi storici, e allora si rispetta la storia, oppure si decide che siamo personaggi provati e allora ci si lascia in pace».
Quella convinzione che la vera storia non sia mai stata raccontata ha portato la primogenita di Moro a una rottura con i fratelli Agnese e Giovanni, accusati di essersi fatti condizionare dal gruppo Febbraio 74, di cui faceva parte Giovanni e che, secondo Maria Fida aveva lavorato contro la salvezza di Aldo Moro, spingendo la famiglia verso «un atteggiamento di chiusura, di astio nei confronti di tutto e tutti. Riuscirono a mettere la famiglia persino contro la Dc. Rimanemmo completamente isolati». Quando la madre Eleonora morì nel 2010, a 95 anni, lei e il figlio furono gli unici a non presenziare alle esequie a Torrita Tiberina, nello stesso cimitero dove è sepolto il marito.
La battaglia per il riconoscimento dello status di vittima del terrorismo, con l'applicazione della legge del 2004 sull'esenzione dei redditi pensionistici, per suo padre. È l'unica battaglia che ha vinto e le ci sono voluti vent'anni e quando infine, nel marzo del 2023, la legge venne applicata anche nel suo caso volle esprimere «sconfinata gratitudine» nei confronti della premier Giorgia Meloni: «Ci voleva una donna al comando. Dove decine di uomini sono rimasti “imbambolati” a guardare una sola giovane donna è andata a meta».
I funerali di Maria Fida Moro, come quelli di suo padre e sua madre, si svolgeranno «in forma strettamente privata». Come sosteneva lei stessa, è stata anche lei, per tutta la vita, un po' una vittima di via Fani, il 16 marzo 1978.