Era il 2021 quando il Texas approvava la misura conosciuta come Heartbeat Bill proibendo l’aborto una volta rilevato il battito cardiaco del feto. Contestualmente, Roe v. Wade, la sentenza che per anni ha fondato costituzionalmente il diritto all’aborto negli Stati Uniti garantendo l’accesso alla pratica in tutta l’Unione federale si apprestava a vivere il suo ultimo anno di vigenza: già nell’estate del 2022 Roe era stata rovesciata, segnando così la più grande vittoria conservatrice occidentale, frutto della lunga ed estremamente paziente strategia politica messa in atto da generazioni di reazionari statunitensi identificatisi in maniera crescente con il Partito Repubblicano. Tanto dentro, quanto fuori gli Stati Uniti, questo passaggio ha segnato una linea di demarcazione - una trincea politica e sociale - pressoché insuperabile tra passato e futuro. Il primo oggi viene anacronisticamente a coincidere con il tempo dei diritti che, proiettati nel secondo tempo, vengono negati.

A qualche mese di distanza dall’addio dato a Roe, infatti, in Ungheria entrava in vigore una legge per obbligare tutto il personale medico coinvolto nelle procedure di interruzione volontaria di gravidanza a far ascoltare il battito cardiaco del feto a chiunque manifestasse la volontà di abortire. Umiliare, intimidire e infantilizzare chi sceglie volontariamente di interrompere una gravidanza, il tutto attraverso un monitor ad ultrasuoni imposto senza alcuna remora o obiezione. Giunti nel 2023 questo scenario si appresta a dispiegarsi anche in Italia, dove quindici organizzazioni anti- scelta come Ora et Labora e Provita & Famiglia portano avanti da mesi una raccolta firme su una proposta di legge di iniziativa popolare per modificare la legge 194/ 1978.

Cinquantamila firme in tutta Italia sono necessarie per trasformare l’aborto in un trauma istituzionalizzato: la proposta di legge mira a rendere precondizione inderogabile per poter procedere con l’interruzione di gravidanza mostrare il feto tramite ecografia e far ascoltare il battito cardiaco. Solo dopo questi due passaggi si potrebbe poi abortire.

Sebbene le organizzazioni promotrici della modifica della legge 194 parlino della volontà di stimolare maggiore consapevolezza sulle interruzioni di gravidanza, una tale misura non farebbe che allineare ulteriormente l’Italia con le realtà più conservatrici che da anni si trincerano dietro la frontiera dell’aborto sfruttando i diritti riproduttivi come strumento di controllo tanto politico quanto sociale. Non dovrebbe, dunque, stupire un ipotetico futuro passaggio dalla strumentalizzazione del battito cardiaco come atto intimidatorio “alla ungherese” ad addirittura limite ultimo “alla texana” a demarcare la legalità o meno di una interruzione di gravidanza.

In un mondo in cui l’identità democratica di un paese dipende profondamente dal rapporto tra autorità e libertà - quest’ultima declinata anche nella forma dei diritti riproduttivi risulta preoccupante la rapidità con cui chi incarna le istituzioni si appresta a sposare una simile proposta politica: non sono, infatti, mancati gli endorsement dei primi cittadini di Manfredonia e di Grosseto, che hanno pubblicizzato dalle proprie pagine istituzionali la raccolta firme anti- scelta. Invitando alla firma, entrambi i sindaci hanno deciso di promuovere apertamente l’istituzionalizzazione della violenza riproduttiva, codificando definitivamente in legge anni di abusi sommersi. L’obbligo all’ascolto del battito cardiaco, infatti, non si configura come una novità, ma come una realtà che ogni giorno decora le esperienze di chi interrompe una gravidanza in Italia, ma la cui denuncia non trova ascolto, se non da parte delle realtà che dal basso, ogni giorno, si attivano per tutelare l’autodeterminazione riproduttiva di tutte e tutti.

Sempre più urgente diventa rispondere, andare all’attacco promuovendo una visione chiara e ben definita di cosa significa tutelare per legge i diritti riproduttivi. Serve dunque ripensare il diritto all’aborto in Italia e la legge che lo codifica, come d’altronde ha cercato di fare in questi mesi Radicali Italiani insieme ad una rete di realtà transfemministe e partitiche decise a sostenere una proposta di legge di iniziativa popolare per il pieno superamento della legge 194 sulla quale verranno raccolte firme fino a dicembre. L’urgenza ampiamente condivisa e che si cela dietro a una tale mobilitazione è chiara: dire addio alla 194, per non trasformarsi nel Texas o nell’Ungheria in un battito.