In Italia esiste una nuova liturgia: quella dell’indignazione selettiva. E come ogni rito, si accende solo quando lo impone la linea del partito. Oggi La Verità titolava scandalizzata per una messa in favore degli imputati del caso Bibbiano, che sarà celebrata domani a Reggio Emilia. Sì, imputati. Non condannati. Non colpevoli. Solo persone ancora in attesa di giudizio. Ma a quanto pare, anche solo pregare per loro è già eresia.

Il garantismo, che Fratelli d’Italia sbandiera a ogni talk show, evapora non appena arriva il momento di dimostrarlo davvero. Garantisti nel processo, dicono. Giustizialisti nell’esecuzione della pena. Anche quando la pena non c’è: vedasi l’indignazione per la presentazione del libro di Luca Bauccio (Il lupo di Bibbiano) su un assolto, un innocente, uno stritolato dalla gogna: Claudio Foti. Sempre in questa assurda chiesa che ha l’ardire di praticare il Vangelo, anziché il regolamento interno del partito.

Oggi, quello che fa scandalo non è la condanna (che non c’è), ma l’atto stesso di rivolgere una preghiera prima del verdetto. A messa, insomma, solo i giusti. Ma non quelli del Vangelo: quelli scelti dal partito. E solo con la giusta opinione. Curiosamente, la stessa fiammata morale non si accende quando messe e commemorazioni riguardano figure dal passato ben più ingombrante. Anzi, lì si parla di “perdono”, categoria sempre buona per una assoluzione postuma. La fede, evidentemente, è più che ben accetta quando serve a benedire gli amici degli amici. Ma non quando si invoca misericordia per chi affronta un processo oggi.

Non è più Dio a decidere, ma il comunicato stampa. E basta una messa per chi attende la sentenza e subito riparte l’allarme etico. A questo punto, viene da chiedersi se il prossimo passo sarà una certificazione politica per accedere ai sacramenti. Nel frattempo, si dimentica che Papa Francesco lavava i piedi ai carcerati e chiedeva clemenza per chi sbaglia, per chi attende, per chi soffre. Lacrimuccia di commozione a quelle parole – “Prendiamolo ad esempio!”, si diceva. Dev’essere già passato di moda: qui si preferisce l’elenco degli imputati al Vangelo.

E dire che Giorgia Meloni, ai tempi del clamore su Bibbiano, dichiarava con solennità: “Siamo stati i primi ad arrivare e saremo gli ultimi ad andarcene”. Peccato che alla messa di oggi non ci sarà nessuno di loro. Si sono dileguati da tempo. Magari avrebbero potuto ascoltare le storie di queste persone, visto che il dibattimento non l’ha seguito nessuno. E infatti, La Verità richiama – a prova della colpevolezza – la requisitoria della pm, dimenticando — o meglio: ignorando — il processo (e come funziona). La verità (quella minuscola) è che la fede non può essere patrimonio esclusivo di una parte politica. Non può avere il colore delle bandiere o delle alleanze. Non si prega “a destra” o “a sinistra”. Così, mentre ci si scandalizza per un’Ave Maria, si dimentica che il Vangelo parla anche di pietà e umiltà.

Ma qui, evidentemente, conta solo il motto aggiornato: Dio, Patria, Famiglia (purché sia tradizionale e processualmente conveniente). La propaganda politica val bene una messa. Che comunque si farà. E forse è proprio questo che brucia: che la fede non ha padrini politici, né portavoce autorizzati. E neppure serve un permesso firmato dal capogruppo alla Camera.

Per fortuna a chiudere la stucchevole polemica ci ha pensato la Diocesi: «Il significato e il senso di questa celebrazione deve essere l’occasione per invocare, in tutte le vicende giudiziarie prossime e lontane, equilibrio nei giudizi e pacificazione sociale». La misericordia di Bergoglio, appunto. Ma la lacrimuccia pare essersi già asciugata.