Sorprendono – ma non troppo, per la verità – le posizioni di molti intellettuali, i quali hanno commentato con freddezza, se non con una punta di malcelato fastidio, le manifestazioni dei giovani sulla questione dell’ambiente.

In Italia Massimo Cacciari – per fare un solo nome – ha espresso, a suo modo, una serie di dure critiche a un movimento giovanile che si sta diffondendo in tutto il mondo, un’onda internazionalista paragonabile per ampiezza a quella studentesca del ’ 68.

Successivamente è stata la volta di un altro filosofo, assai celebrato in Francia e in Europa, Alain Finkielkraut, secondo il quale l’economia è troppo importante per lasciarla ai bambini. Dietro queste posizioni, che contengono anche valutazioni condivisibili e fondate, mi sembra si nasconda un pensiero molto aristocratico di chi fatica a prendere sul serio le correnti profonde che si agitano nelle odierne società.

Da questo punto di vista, sono preferibili i politici lungimiranti - pur con una punta di inevitabile cinismo agli intellettuali malati di protagonismo, riparati dalle loro confortevoli cattedre universitarie e impediti nel leggere e ascoltare la realtà dalle loro pesanti corazze culturali. Non c’è dubbio che il movimento ambientalista che scorre sotto i nostri occhi contiene molti elementi assai discutibili, in particolar modo un istintivo anticapitalismo, una possibile avversione alla scienza e al progresso, così come lo abbiamo finora conosciuto, nonché una visione apocalittica della condizione terrestre. Questi elementi sono presenti, ma non sono gli unici e non sono predominanti.

Fra i giovani che in tutto il mondo si battono e s’impegnano a favore dell’ambiente, vi è anche una filosofia che recupera una sana e necessaria dimensione naturale nell’agire dell’uomo e una nuova concezione dell’economia – comune oggi a molti imprenditori e amministratori delegati di grandi aziende – incentrata su uno sviluppo fondato sulla responsabilità sociale dell’azienda.

Si tratta oltretutto di un movimento che, a differenza di quelli del passato, non ha capi politici e non abbraccia alcuna ideologia totalitaria.

Perché dunque non guardare con rispetto e con fiducia a queste nuove idee e a questa nuova domanda di partecipazione?

Saranno dunque i politici e non gli intellettuali a dover dialogare con questo movimento, con il necessario realismo, tipico del resto dei politici, ma al tempo stesso sapendone trarre quella energia e quelle indicazioni che possono essere valorizzate e diventare il motore di una nuova fase di progresso e di civiltà.