Quanto accaduto nel carcere di Viterbo nell’estate del 2018, fra cui poi la morte del 21enne egiziano Hassan Sharaf, ha determinato questa settimana la condanna alla censura da parte della Sezione disciplinare del Csm della pm romana Eliana Dolce, all’epoca in servizio presso la Procura della cittadina dell’Alto Lazio.

La vicenda riguardava la ' gestione' di un esposto che segnalava violenze sui detenuti nel carcere viterbese da parte degli agenti della polizia penitenziaria. Nel mirino, in particolare, la scelta iniziale della magistrata di iscrivere questo esposto a modello 45 e quindi come fatto non costituente notizia di reato.

L’esposto, firmato da alcuni reclusi tra cui Sharaf, era stato inviato in Procura dal Garante regionale dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasìa. Nel documento si denunciavano, anche con le foto di lividi e ferite, abusi e percosse sui detenuti da parte della polizia penitenziaria. Inoltre, si faceva riferimento alle circostanze della morte di un recluso, tale Andrea Di Mino.

Sharaf, arrivato minorenne in Italia su un barcone, a luglio del 2017 era stato trasferito da Regina Coeli al penitenziario di Viterbo per scontare un residuo pena fino al 9 settembre 2018.

Il 23 luglio 2018, a fronte del ritrovamento di un cellulare e di medicinali proibiti nella sua cella, era stato sanzionato con quindici giorni di isolamento senza essere, verrà accertato in seguito, visitato preventivamente. Dopo appena due ore in isolamento, Sharaf decideva di impiccarsi con un asciugamano legato alla finestra della cella. Entrato in coma, morirà a distanza di una settimana.

Effettuata l'iscrizione a modello 45, nell’autunno del 2021 la pm aveva scelto di archiviare l'esposto con una motivazione, come ha scritto il Csm, “meramente apparente”.

Per la sezione disciplinare del Csm fu una iniziativa “particolarmente grave” perché le persone offese erano soggetti vulnerabili – detenuti affidati alla custodia dello Stato – e l’esposto proveniva da un organo istituzionale come il Garante. Circostanze analoghe, va ricordato, avevano già portato all’apertura di una inchiesta sui pestaggi all’interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere.

A cambiare il corso degli eventi era stato il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, Antonio Mura, adesso capo ufficio legislativo di via Arenula, che nel 2021 dispose l’avocazione del procedimento.

A far scattare l'avocazione era stata la denuncia dell’avvocato Michele Andreano, difensore della madre di Sharaf, in cui segnalava alcuni aspetti mai valorizzati in precedenza, come ad esempio la non certificazione di idoneità all’isolamento.

La Procura generale aveva inoltre evidenziato anche diverse circostanze meritevoli di autonome verifiche.

In un colloquio con il Garante Anastasìa, Sharaf, prima di morire, aveva affermato di aver paura per la sua vita. All’avvocata Simona Filippi, invece, aveva raccontato di essere stato picchiato dagli agenti penitenziari, mostrando lividi in più punti del corpo.

A seguito dell’avocazione si era scoperta anche una anomalia “tecnica”: Sharaf avrebbe dovuto trovarsi in un carcere minorile, non in quello degli adulti. Il provvedimento del tribunale dei minorenni non era però mai stato eseguito.

Sul fronte processuale, ad aprile dello scorso anno è stato disposto il rinvio a giudizio del medico Roberto Monarca, ex responsabile del reparto di medicina protetta, con l’accusa di omicidio colposo. Contro di lui si sono costituiti parti civili la madre, la sorella e il cugino di Sharaf. È in corso il dibattimento per omicidio colposo in concorso contro l’agente Massimo Riccio, responsabile della sezione isolamento, e la dottoressa dell’infermeria Elena Ninashvili. Si sta, infine, svolgendo l’appello contro l’assoluzione di Pierpaolo D’Andria, ex direttore del carcere, assolto in primo grado dall’accusa di omicidio colposo e condannato per omissione di atti d’ufficio a due mesi e venti giorni, con pena sospesa. La Procura generale ha contestato il mancato trasferimento di Sharaf in un istituto minorile, ritenendolo un fattore determinante nel rischio suicidario. Per il gip, invece, l’evento non era prevedibile.

Sono stati assolti dall’accusa di omissione di atti d’ufficio il comandante della polizia penitenziaria Daniele Bologna e l’agente capo matricola Luca Floris. Un altro filone riguarda due agenti accusati di abuso di mezzi di correzione: avrebbero colpito Sharaf con schiaffi violenti, facendogli sbattere la testa contro il muro, lasciando chiusa la cella senza prestare soccorso per circa mezz’ora, nonostante mostrasse evidenti segni di agitazione.

Tornando comunque al disciplinare, la censura nei confronti della pm Dolce ha fissato un principio di responsabilità per chi avrebbe sottovalutato un esposto proveniente da un organo di garanzia.

Una decisione, quella del Csm, che crea però un precedente, andando a sindacare l’attività giurisdizionale del singolo magistrato.

In sede penale sia la pm Dolce e sia l’allora procuratore di Viterbo Paolo Auriemma furono assolti dall’accusa di omissione di atti d’ufficio. La Procura di Perugia, diretta da Raffaele Cantone, aveva ritenuto non dimostrabile un nesso causale tra le omissioni contestate e la morte di Sharaf.