Rete Lenford. Come Lenford Harvey, attivista giamaicano ucciso barbaramente nel 2005 perché omosessuale. Si chiama così l’Associazione dell’Avvocatura per i Diritti LGBTI+, una rete di legali e giuristi che garantisce tutela contro ogni forma di discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere. «L’obiettivo è promuovere una cultura egualitaria, più che “inclusiva”: nessuno deve “includere” qualcun altro, è una società in cui siamo tutti diversi e tutti uguali», spiega Vincenzo Miri, presidente dell’Associazione. Che ieri ha festeggiato i primi 15 anni di attività con un evento al Cnf.

Gli anniversari sono occasione di bilancio. Qual è il suo?

È un bilancio positivo. Per due ragioni: perché con le nostre azioni soddisfiamo l’interesse della persona a cui offriamo assistenza legale. E perché con ogni singola sentenza smuoviamo il terreno dei diritti fondamentali. Diritti di cui devono poter godere tutti i cittadini senza alcuna discriminazione. Ogni sentenza è un tassello, che può avere un effetto di rimbalzo su quelle successive. Che poi concorrono a formare una coscienza sociale molto più forte.

La progressione culturale passa per le aule di tribunale?

È una strategia giudiziaria: di un unico risultato possono beneficiarne tanti. Cerchiamo di capire come applicare in Italia quella che in America, dagli anni ‘ 50, chiamano litigation strategy.

Di recente si è discusso di un’ordinanza del Tribunale di Roma, che accogliendo il ricorso di due mamme, ha sancito la correttezza della dicitura “genitori”, al posto di “padre e madre”, sulla carta d’identità del figlio nato dalla coppia. Palazzo Chigi ha detto che “esaminerà” la decisione dei giudici: che vuol dire?

Che studierà come dare attuazione a quella decisione. Non si può far altro. E noi chiederemo al ministero dell’Interno di attuarla. Il tema è questo: per ottenere la modifica richiesta dall’ordinanza, bisogna modificare il software del Viminale. Il quale dovrà decidere se perseguire nella discriminazione di tutte le altre coppie, emettendo una singola carta d’identità per la specifica coppia che ha vinto la causa. Oppure se attuare questa ordinanza, evitando che ce ne siano altre di analogo tenore. Questa dovrebbe essere la risposta della politica, e ogni polemica mi sembra frutto di ideologia.

Parliamo di omogenitorialità. Che possibilità hanno le amministrazioni sugli atti di nascita del figlio?

La domanda mi aiuta a fare chiarezza tra due situazioni distinte. C’è una questione giuridica che riguarda il riconoscimento di atti formati all’estero, con due genitori dello stesso sesso. L’altra riguarda la possibilità, che hanno i sindaci, di formare in Italia atti di nascita su bimbi nati qui. Nel primo caso, è il paese estero a formare l'atto di nascita, secondo le leggi di quello stato: il problema si pone quando, e se, quell’atto viene trascritto in Italia. Se invece poniamo che una coppia di donne vada in Spagna, qui vicino, realizzi una fecondazione, e poi il bambino nasca in Italia, il tema è capire se un sindaco può riconoscere entrambe come madri.

E cose dicono le sentenze in proposito?

Rispetto alla trascrivibilità di atti con due madri, senza gestazione per altri, la Cassazione e la Corte Costituzionale hanno ormai stabilito che si può fare. È un riconoscimento doveroso, perché c’è il principio di conservazione dello stato filiale. Nel caso in cui il bimbo nasca in Italia, le Corti di merito hanno sempre dimostrato apertura, molti giudici hanno statuito che fosse possibile farlo, ma la Cassazione ha sempre avuto un atteggiamento molto prudente, negandone la possibilità. Sulla questione si è interrogata anche la Consulta, che al momento ha lanciato un monito al legislatore affinché intervenga su questo vuoto di tutela.

Monito al quale il legislatore non ha risposto.

Parliamo non solo di inerzia, ma a volte di ostilità legislativa nel tutelare e attuare la Costituzione rispetto a determinate famiglie. È davvero incredibile come il Parlamento si rifiuti di prendere in considerazione l’esistenza di migliaia di famiglie. È «intollerabile» : questa la parola che utilizza la Corte Costituzionale quando parla di gravissimo «vuoto di tutela». Intollerabile che ci siano bambini che patiscono le scelte di una politica ferma o ostile rispetto all’eguaglianza. Una ritrosia legislativa che si riflette sul piano culturale.

Veniamo al ddl Zan, naufragato in Parlamento. Ritiene che il codice penale sia la risposta contro l’omofobia?

È chiaro che bisogna primariamente agire sul piano culturale. Ma il ddl Zan era un buon compromesso tra le due prospettive di azione: nella prima parte prevedeva un intervento penale, e nella seconda c’erano le cosiddette azioni positive. Ormai anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ci dice che lo strumento penale è efficace in questi casi, come deterrente.

Torniamo al 2016, la legge sulle unioni civili fu una battaglia vinta. Lo è ancora?

Lo è sul piano delle concrete tutele di vita di coppia. È una legge meritoria, che ha esteso i diritti, ma che ha anche creato una disuguaglianza per legge nel momento in cui ha escluso dal matrimonio le persone omosessuali. È importante che si rimetta al centro il matrimonio ugualitario.