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Nella foto Interno di una cella nel Carcere di San Vittore sezione femminile
Un muro di gomma. Anzi, un muro di carta, quella della risposta ministeriale che descrive una realtà quasi idilliaca, in stridente contrasto con il quadro desolante denunciato da più parti. Al centro della vicenda, le condizioni di P. Q., un detenuto del carcere di Parma che, secondo un’interrogazione del deputato di Italia Viva Roberto Giachetti, basata su un articolo di Thomas Mackinson de Il Fatto Quotidiano, sarebbe da 15 mesi prigioniero nella sua stessa cella perché la carrozzina è troppo larga per passare dalla porta. Una denuncia circostanziata, quella di Giachetti, che riportava le parole del legale del detenuto, l’avvocato Fausto Bruzzese, il quale parlava di un «quadro che rasenta la tortura», fatto di cure negate, termosifoni spenti, assenza di acqua calda e la necessità per il recluso di cambiarsi da solo i sacchetti per la stomia.
L’interrogazione citava anche i report dell’associazione “Nessuno Tocchi Caino”, che già in passato aveva segnalato il paradosso di Parma: un istituto che attira detenuti malati da tutta Italia per la presenza di un Servizio di assistenza intensificata (Sai), salvo poi non avere abbastanza posti nel centro clinico e lamentare gravi carenze di personale.
Ma nella risposta scritta del ministro della Giustizia, la versione che emerge sarebbe un’altra. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), interpellato in merito, fornisce una narrazione che smonta, punto su punto, le accuse. La questione della carrozzina? Un’invenzione, secondo il ministero. La porta della camera di pernottamento, si legge, è larga 72 centimetri, quella del bagno 68 centimetri. La sedia a rotelle in uso al detenuto? Larga 64 centimetri. «Idonea, dunque, al transito». Non solo. Per scendere ai piani inferiori ci sono ascensori accessibili e il detenuto si avvale di un “caregiver” per ogni necessità. Anzi, il personale avrebbe rilevato che il ristretto si muove spesso «personalmente e senza ausili». E le altre doglianze? Sul riscaldamento, «non risultano problematiche».
La questione dell’intervento alle anche, che gli permetterebbe di camminare con un deambulatore, viene ribaltata: l’Ausl avrebbe proposto un ricovero all’ospedale di Parma, ma il detenuto «ha rifiutato, poiché vuole essere assistito dall’ospedale di Bologna». Una possibilità non preclusa, precisa il ministero, ma che necessita di una presa in carico da parte della struttura bolognese e dell’autorizzazione del magistrato, autorizzazione mai chiesta. Anche la gestione della stomia viene presentata diversamente: ogni mattina gli vengono consegnati 3 sacchetti e ha sempre la “facoltà” di chiedere l’aiuto del personale sanitario. La risposta si sofferma poi a lungo sull’organico sanitario, quasi a voler smentire le denunce di “Nessuno Tocchi Caino”. Il quadro descritto è quello di una piena efficienza: servizio sanitario «attualmente completo», 22 medici tra settore e guardie, con due dottori sempre presenti h24. Dieci infermieri al mattino, nove al pomeriggio. Un elenco sterminato di specialisti interni: dentisti, cardiologi, fisiatri, infettivologi, chirurghi, oncologi. E dove non arrivano, c’è la telemedicina.
Tutto perfetto, dunque? Sembrerebbe di sì. P. Q. non si troverebbe neanche nel reparto disabili o al Sai per assenza di prescrizioni mediche in tal senso, e anzi, un trasferimento al Servizio di assistenza intensificata lo avrebbe rifiutato lui stesso il 19 agosto 2021. Eppure, in questo quadro di efficienza e piena tutela, una crepa si apre quasi alla fine del documento. Rispondendo alla domanda specifica di Giachetti sull’effettuazione delle due visite annuali del dirigente della Asl, previste dall’ordinamento penitenziario per monitorare le condizioni igienico- sanitarie degli istituti, il ministero ammette candidamente: «Agli atti del competente Ufficio III Attività ispettiva e di controllo, non risulta alcuna documentazione relativa all’effettuazione di visite Asl ai sensi dell’articolo 11, commi 13 e 14, o. p.». Un’ammissione di enorme peso.
Le ispezioni che dovrebbero certificare il rispetto dei diritti e delle norme sanitarie, semplicemente, non risultano essere state fatte, o quantomeno non ve n’è traccia. Ed è un dettaglio che rischia di far crollare l’intero castello di certezze esposto nella risposta. Se manca il controllo sistematico previsto dalla legge, come si può essere certi della veridicità di un quadro altrimenti così impeccabile? La promessa finale di calendarizzare future visite ispettive suona come una magra consolazione. La verità di carta del ministero si scontra con una realtà la cui verifica, per stessa ammissione, è mancata. E nel mezzo resta la condizione di un uomo che, al di là delle misure di porte e carrozzine, continua a denunciare una sofferenza che le risposte burocratiche non possono cancellare.