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A migrant center is seen from above in Gjader, northwest Albania, Thursday, July 25, 2024. Migrants rescued at sea while attempting to reach Italy are likely to see themselves transported to Albania from next month while their asylum claims are processed, under a controversial deal in which the small Balkan country will host thousands of asylum-seekers on Italy\'s behalf. (AP Photo/Vlasov Sulaj) Associated Press / LaPresse Only italy and Spain
Fascette di plastica strette ai polsi per oltre venti ore, destinazioni taciute, diritti calpestati: così il nostro Stato trasferisce migranti verso l’Albania senza un provvedimento scritto, in aperto contrasto con la Costituzione e le norme europee. Un viaggio che trasforma l’espulsione in tortura burocratica, documentato dal report “Ferite di confine. La nuova fase del modello Albania”, presentato a fine luglio dal Tavolo Asilo e Immigrazione. Da aprile scorso, decine di persone trattenute nei Centri di permanenza e rimpatrio (CPR) italiani vengono ammanettate con fascette in velcro e caricate su pullman e navi, come se la dignità fosse un optional. Questo sistema non sfiora solo la legalità: la travolge.
Come è noto, a partire da aprile 2025, il governo italiano ha avviato una nuova fase operativa del Protocollo con l’Albania, che prevede il trasferimento forzato verso il centro di Gjadër di persone già trattenute nei Cpr italiani, in attesa di espulsione. Sulla base di sei visite di monitoraggio tra aprile e luglio 2025, delle interlocuzioni con circa 60 persone trattenute, raccolte insieme ad atti amministrativi, accessi civici e giurisprudenza italiana ed europea, il report mostra un quadro di violazioni sistemiche e di un impianto politico e sociale di esclusione.
L’EMERGENZA PSICHICA SILENZIOSA
Dentro le mura del Cpr di Gjadër si consuma una spirale di sofferenza invisibile, fatta di notti insonni e menti in subbuglio. Questo emerge dal report. Le persone recluse arrivano già provate da viaggi estenuanti, ma qui l’isolamento forzato aggrava disturbi esistenti e ne fa nascere di nuovi. In assenza di una vera valutazione psichica al momento del trasferimento – che si basa unicamente su un rapido controllo in Italia, senza alcuna rivalutazione una volta in Albania – chi ha bisogno di supporto viene lasciato a sé stesso. I sintomi che emergono seguono uno schema ormai riconosciuto: dissociazione, ipervigilanza, attacchi di panico, fobie legate agli spazi angusti e alle sbarre. A tutto questo si aggiungono somatizzazioni estreme – mal di testa lancinanti, tachicardie, dolori che non rispondono a cure somministrate con leggerezza – e una marcata disregolazione emotiva, con sbalzi d’umore improvvisi e attacchi di rabbia indirizzati contro sé stessi.
Nei primi trenta giorni dal primo trasferimento, il Registro degli Eventi Critici ha contato 42 episodi critici, 21 dei quali tentativi di autolesionismo o gesti suicidari, un tasso che supera ogni media di emergenza sanitaria in contesti di detenzione amministrativa. Al 16 maggio 2025, a poco più di un mese dal primo trasferimento verso il Cpr di Gjadër, con una presenza stimata di 40-60 persone, il Registro degli Eventi Critici segnalava 42 episodi, in prevalenza legati a condizioni sanitarie e psichiche. Tra questi: ingestione volontaria di oggetti (una chiusura lampo, bagnoschiuma), due tentativi di impiccagione con indumenti fissati agli sprinkler, ferite da vetri rotti durante una protesta e diversi episodi di autolesionismo. Alcuni trattenuti presentavano patologie pregresse non adeguatamente trattate – come asma, dolori articolari, infezioni addominali o forti mal di denti – e in almeno due casi persone vulnerabili, inizialmente isolate per “disturbo del comportamento”, sono state successivamente dichiarate non idonee al trattenimento dopo una rivalutazione sanitaria, con conseguente rientro in Italia. Le stanze utilizzate per l’isolamento, inadatte alla gestione di fragilità psichiatriche, aumentavano il rischio di autolesionismo. In questo contesto, la promessa di “assistenza psicologica” si frantuma contro la realtà di uno spazio disumano: non c’è filo di dialogo, non c’è cura continua, non c’è futuro. La nuova frontiera del controllo migratorio si fonda su uno svuotamento psichico: un’emergenza che chiede non solo interventi sanitari urgenti, ma la fine di un modello che trasforma la fragilità in reato.
I TRASFERIMENTI DISUMANI
Dal report è emerso che i trasferimenti dai Cpr italiani a quello in Albania avvengono con modalità disumane. Un caso particolarmente grave, per il quale è in corso una richiesta di risarcimento danni, riguarda un trasferimento avvenuto nel maggio 2025 dal Cpr di Macomer (Sardegna) a quello albanese di Gjadër. Durante tutto il viaggio – che ha toccato le tappe Macomer-Roma, Roma-Brindisi e Brindisi-Gjadër – la persona è stata tenuta legata con fascette di plastica per oltre 24 ore consecutive. Le condizioni del trasporto sono state definite “disumane e degradanti”, lesive della dignità umana. Ma c’è un altro aspetto grave: l’inganno. Alla persona trasferita era stato detto che sarebbe stata portata in un altro Cpr sul territorio italiano, non in Albania. La vera destinazione non è mai stata comunicata. Nonostante la persona non opponesse alcuna resistenza, è stata legata con fascette in velcro fin dall’uscita dal Cpr di Macomer. Le fascette sono state rimosse solo tre volte durante tutto il viaggio, unicamente per permettere l’accesso ai servizi igienici. Questo trattamento, durato circa 24 ore, viola palesemente i diritti fondamentali della persona e risulta del tutto illegittimo.
Tutte le persone trasferite hanno raccontato di aver subito le stesse limitazioni e umiliazioni. Sebbene formalmente si tratti di uno “spostamento da Cpr a Cpr”, nella realtà è un trasferimento dall’Italia verso un Paese terzo fuori dall’Unione Europea, della durata di circa 24 ore, che coinvolge mezzi di trasporto terrestri e marittimi. Per questo tipo di operazioni dovrebbero applicarsi le norme specifiche sui rimpatri, con tutte le garanzie che ne derivano. L’Agenzia dell’Ue per i diritti fondamentali ha più volte sottolineato che operazioni di questo tipo presentano un rischio molto elevato di violazioni dei diritti umani. La normativa europea sui rimpatri stabilisce regole precise per l’uso di mezzi coercitivi come le fascette: possono essere utilizzati solo quando la persona si oppone attivamente al trasferimento, dopo una valutazione individuale del rischio, in modo proporzionato e per il tempo strettamente necessario, sempre nel rispetto della dignità umana.
Le linee guida dell’agenzia Frontex del 2016 sono ancora più specifiche: ogni decisione deve essere presa caso per caso, mai in modo generalizzato. L’uso preventivo di mezzi di contenzione è espressamente vietato. La norma prevede anche che “in caso di dubbio, l’operazione di allontanamento che richiede misure coercitive è sospesa”, perché “un allontanamento non può essere effettuato a qualsiasi costo”.
VIOLAZIONI SISTEMATICHE
Nei trasferimenti verso l’Albania, queste regole fondamentali sono state completamente ignorate. Non risulta che la polizia abbia mai effettuato una valutazione preventiva sulla necessità di usare le fascette, considerando il livello di rischio concreto. Un rischio che, vista la natura del trasferimento marittimo e la presenza massiccia di forze dell’ordine (due agenti per ogni persona trasferita), non poteva certo essere considerato elevato. L’assenza di episodi di rivolta o disordini durante le operazioni conferma che non c’erano ragioni oggettive per misure così severe. Eppure le fascette sono state applicate indiscriminatamente a tutti i trasferiti, senza alcuna valutazione individuale e senza considerare che nessuno aveva mostrato comportamenti di resistenza. Più grave ancora, la contenzione è durata per l’intera operazione, circa 24 ore consecutive, un tempo del tutto sproporzionato rispetto a qualsiasi possibile necessità di sicurezza.
Il rapporto conclude che un uso così prolungato di strumenti di coercizione, senza una valutazione personalizzata del rischio e in assenza di comportamenti ostili, costituisce una violazione manifesta dei diritti fondamentali delle persone coinvolte, costrette a rimanere per molte ore in condizioni di contenzione fisica, pur essendo costantemente sotto il controllo di numerose forze dell’ordine.