C’è qualcosa di surreale – e vagamente liturgico – nel calendario della giustizia italiana. Alcune festività sembrano godere di uno statuto privilegiato, quasi mistico. Natale e Pasqua, ad esempio, sono sacramenti laici anche per l’apparato giudiziario: se sei agli arresti domiciliari e ti comporti bene, potresti ottenere di festeggiarli in famiglia, magari nella villetta della cognata, purché non troppo lontana da casa.

Ferragosto, invece, pare non godere dello stesso prestigio. La storia è semplice, come spesso accade con i paradossi. Un imputato — chiamiamolo Antonio, ma potremmo chiamarlo in mille altri modi — è da fine marzo autorizzato a uscire di casa ogni giorno feriale dalle 7:30 alle 13:00 per lavorare. Rientra, timbra metaforicamente il cartellino, e continua a scontare la misura cautelare degli arresti domiciliari, disposta a luglio dell’anno scorso. Sono cinque mesi ormai che si divide tra lavoro e casa, senza che una sola violazione sia stata registrata. Né ritardi, né furbizie, né “disattenzioni”.

Eppure, quando i suoi avvocati hanno chiesto — come già accaduto a dicembre e ad aprile — che il loro assistito potesse trascorrere tre giornate festive (12, 15 e 18 agosto) in casa della cognata, nel medesimo complesso residenziale in cui vive, a una manciata di metri dal suo domicilio, la risposta del Tribunale è stata un perentorio: “no”.

Un no secco, sbrigativo, senza appello. Come se Ferragosto, nel calendario giudiziario, non avesse dignità di festività. Come se la famiglia, l’affettività, la possibilità di vedere il figlio minorenne in un contesto più umano — lo stesso in cui ha già trascorso Natale e Pasqua — fossero concessioni troppo generose per il mese di agosto. Forse perché ad agosto si va in ferie, ma non si ammette indulgenza.

La misura cautelare, ci insegnano i manuali di procedura penale e la giurisprudenza consolidata, non è una pena. Non dovrebbe mai trasformarsi in un'anticipazione della condanna, né in uno strumento punitivo mascherato. Il principio di proporzionalità, quello di adeguatezza, e – sì, anche quello di umanità – impongono che le esigenze cautelari siano bilanciate con i diritti fondamentali della persona. Tra questi c'è anche il diritto alla vita familiare, alla genitorialità, alla celebrazione dei legami affettivi.

Il Tribunale, invece, ha tagliato corto. Senza un vero contraddittorio, senza motivazione sostanziale. La stessa Autorità che, solo pochi mesi prima, aveva autorizzato lo stesso identico spostamento (stessa casa, stesso parco, stessa cognata), ora si è irrigidita di fronte a un Ferragosto con la grigliata. Come se il rischio processuale aumentasse con la temperatura.

È ironico, se non fosse tragico: si può lavorare ogni mattina, ma non si può festeggiare l’anniversario di matrimonio a quindici metri di distanza. Si può onorare il Natale e la Resurrezione, ma non Ferragosto, forse perché non è previsto nel calendario liturgico della Cassazione.

E allora viene da chiedersi: su quale base logica o giuridica si disegna questa gerarchia delle festività? Perché la Pasqua sì e il compleanno del nipote no? Davvero un giudice può permettersi di decidere così, in fretta, su aspetti così delicati, senza doversi prendere il tempo di riflettere? Senza nemmeno porsi il problema del messaggio che trasmette una giustizia così selettiva, così umorale?

Le responsabilità penali dell’imputato saranno accertate, com’è giusto che sia, nel processo. Ma qui non parliamo di condanna: parliamo di custodia cautelare. Di una misura eccezionale che dovrebbe essere applicata con rigore, certo, ma anche con equilibrio, senza mai dimenticare che dietro le carte ci sono persone. E famiglie. E figli.

Forse è questo che manca, a volte, nelle aule di giustizia: il senso del tempo, della proporzione, e anche un pizzico di ironia. Perché se davvero un imputato merita di trascorrere il Natale con i suoi cari, allora dovrebbe poter godere — almeno — anche del Ferragosto.

In fondo, non è forse proprio questa la differenza tra la giustizia e l’amministrazione del potere? Il saper distinguere tra il rigore e l’arbitrio. Anche — e soprattutto — sotto il sole d’agosto.