Antonino Cinà non solo non ha ricoperto alcun ruolo apicale della mafia corleonese, ma nemmeno è responsabile della strage di Via D’Amelio. La giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta, Valentina Balbo, sciogliendo la riserva assunta all'udienza camerale del 24 settembre 2020, ha accolto la richiesta di archiviazione presentata dai pm nisseni. Antonino Cinà, difeso dagli avvocati Giovanni Di Benedetto del foro di Palermo e Federica Folli del foro di Parma, è stato un semplice intermediario tra Vito Ciancimino e Salvatore Riina e non gli viene riconosciuto alcun altro protagonismo.Ma andiamo con ordine. Tutto nasce dal fatto che la cosiddetta trattativa Stato-mafia fosse considerata la causa dell’accelerazione della strage di Via D’Amelio dove perse la vita Paolo Borsellino e la sua scorta. Da una parte c’è la tesi giudiziaria palermitana che inquadra i contatti tra gli ex Ros, Mario Mori e Giuseppe De Donno, e Vito Ciancimino non come una semplice “trattativa” per arrivare a decapitare i corleonesi, ma come patto per porre fine alle stragi: in cambio la mafia avrebbe ottenuto dei favori esplicitati da un presunto papello a firma di Totò Riina. Quali? Difficile individuarli visto che sono stati arrestati tutti e i boss principali, a partire dal capo dei capi, sono finiti ininterrottamente al 41 bis. Carcere duro che fu varato dal Parlamento subito dopo le stragi. La versione dei Ros sulla trattativa Dall’altra c’è la versione dei Ros stessi, che poi viene confermata dal verbale del 1993 riguardante l’interrogatorio fatto a Vito Ciancimino. Ovvero che la “trattativa” (termine che compare proprio nel verbale) consisteva semplicemente in una proposta avanzata dai Ros: «Consegnino alla Giustizia alcuni latitanti grossi e noi garantiamo un buon trattamento ai suoi familiari». In che cosa sarebbe consistita la collaborazione dell’ex sindaco di Palermo? Ricostruendo un sistema mafia- appalti attraverso Vito Ciancimino stesso che avrebbe ripreso dei contatti con il mondo imprenditoriale in odor di mafia, assicurando al suo «interlocutore- ambasciatore» che avrebbe potuto ricreare un rapporto tra le imprese senza che potesse «riprodursi l’effetto Di Pietro». Antonino Cinà medico di fiducia di Riina, Provenzano e Bagarella Chi era questo interlocutore? Dal verbale risulta che Ciancimino dichiarò che era il dottor Antonino Cinà, personaggio di primissimo piano: era il medico di fiducia di Riina, Provenzano e Bagarella, cioè del vertice di Cosa nostra. Il dottor Cinà, ricordiamo, è anche tra i condannati in primo grado nel processo “trattativa”. Ora c’è il processo d’appello in corso. Lo scopo ultimo di questa trattativa era quello di arrestare tutti i coinvolti e magari raggiungere esponenti mafiosi di alto livello, come riferì il generale Mori durante una sua dichiarazione spontanea nel processo sulla trattativa. Si trattava in pratica di far diventare Vito Ciancimino «una sorta di agente sotto copertura». I pm nisseni hanno chiesto l'archiviazione per Cinà La cosa però saltò, non se ne fece più nulla, perché poi Ciancimino – mezzora dopo quel colloquio con i Ros – venne tratto in arresto.Come mai i pm di Caltanissetta hanno chiesto l’archiviazione per Cinà? La questione è semplice. Oltre al fatto che non ricoprisse alcun ruolo apicale, escludono la trattativa come causa dell’accelerazione della strage. Anche perché i primi veri contatti con Ciancimino si ebbero dopo la strage di Via D’Amelio. Ma riportiamo il passaggio del pubblico ministero. Attraverso una sintetica, ma puntuale, disamina di quanto emerso dalle investigazioni e dalle istruttorie dibattimentali espletate in quasi un trentennio sulle stragi del 1992, il pm nisseno conclude che «prescindendo dalle dichiarazioni rese da Massimo Ciancimino (il figlio di “Don Vito”, ndr) il compendio probatorio in atti non consenta di ritenere univocamente dimostrato che il Colonnello Mori abbia avuto diretti contatti con Vito Ciancimino prima della strage di via D'Amelio e che gli appartenenti al Ros. dei Carabinieri fossero stati messi a conoscenza, sempre prima dell'attentato del 19 luglio 1992, dei punti contenuti nel cd. "papello" redatto da Salvatore Riina». Il pm va al dunque, sottolineando che «al di là delle considerazioni di tipo logico, infatti (può dirsi quasi scontato che, laddove informato, il dottor Borsellino mai avrebbe avallato natura e finalità di quei contatti) non aiutano allo scopo prefisso nemmeno le dichiarazioni rese da Giovanni Brusca». Il Borsellino quater ha escluso la trattativa come causa dell’accelerazione della strage Il pm cita il verbale di interrogatorio dell' 8 maggio del 2009: «non ho mai parlato con Riina del fatto che il dottore Borsellino sia stato ucciso in quanto ostacolo alla trattativa. Si tratta di una mia interpretazione basata sulla conoscenza che ho dei fatti di Cosa nostra ma anche delle vicende processuali cui ho partecipato. Mi venne detto da Riina che vi era "un muro" da superare ma in quel momento non mi venne fatto il nome di Borsellino. È sicuro, comunque, che vi fu una accelerazione nell'esecuzione della strage». Il pm nisseno, quindi, spiega che «può dirsi estremamente chiaro come il Brusca abbia collegato solo in maniera deduttiva le considerazioni che gli aveva fatto il Riina sull'ostacolo da superare alla persona del dottor Borsellino. Deduzione che però, allo stato, non è assistita da alcun elemento oggettivo in grado di farla assurgere a dignità di prova. Dal complesso delle sue esposte considerazioni discende, senza bisogno di ulteriori considerazioni, l'impossibilità lo stato di un utile esercizio dell'azione penale potendosi prevedere sulla scorta degli elementi a disposizione esiti non favorevoli del giudizio eventualmente instaurato». A tal proposito è bene ricordare che le motivazioni del Borsellino quater recentemente depositate dalla Corte d’Appello di Caltanissetta, non solo confermano questo assunto, ma escludono categoricamente la trattativa come causa dell’accelerazione: viene invece inquadrata nel discorso dell’interessamento di Borsellino nell’indagine mafia appalti di cui ancora non era titolare, una strage accelerata per “cautela preventiva”. Per la gip Cinà era latore di dichiarazioni tra  i vertici mafiosi e Ciancimino La giudice delle indagini preliminari specifica che per la posizione di Cinà non è rilevante il fatto che la cosiddetta trattativa sia o meno esistita in quei termini. Quello che interessa sapere, invece, è se abbia ricoperto o meno ruoli attivi, oppure “passivi” sapendo che la sua azione da intermediario avrebbe causato la strage. La giudice prende le mosse proprio dalle dichiarazioni in merito rese da Massimo Ciancimino a più riprese. Prende in considerazione quella resa il 29 gennaio 2008 ed emerge che Cinà era un mero intermediario tra il padre Vito e Salvatore Riina e non gli viene riconosciuto nessun altro protagonismo, neppure quello di consegnare "il papello" di richieste fatte da Cosa nostra. Ma non solo. La giudice fa riferimento a un manoscritto di Vito Ciancimino dove emerge un dato fondamentale: l'incontro con Antonino Cinà e il suo fare altezzoso, alla notizia che i Carabinieri avrebbero voluto avere un contatto con i vertici mafiosi, viene collocato dopo la strage di via d'Amelio. «Non si comprende, dunque – scrive la giudice -, come avrebbe mai potuto Cinà, la cui condotta si innesta in un momento successivo alla strage di via D'Amelio, contribuire ad accelerarne il verificarsi». Riportando anche uno stralcio della sentenza trattativa di primo grado, la giudice sentenzia che non aggiunge elementi di novità tali da giustificare l'imputazione di Cinà per il delitto di strage del 19 luglio 1992. Tali esiti dimostrano solo che Cinà era ritenuto latore di dichiarazioni tra Salvatore Riina, i vertici mafiosi e Vito Ciancimino. Non c’è nessun elemento che lo qualifichi come figura apicale che avrebbe in qualche modo potuto dare il proprio contributo ad assumere determinazioni in materia di omicidi eccellenti come quello di Paolo Borsellino.