«La frequentissima rivalutazione della sussistenza dei presupposti della detenzione domiciliare, peraltro, caratterizzata da una marcata tensione al ripristino della detenzione, incide di per sé su entrambi i diritti costituzionalmente garantiti, tra loro strettamente connessi: salute e umanità della pena». È questo è il focus dell’ordinanza del tribunale di sorveglianza di Sassari con la quale si contesta la legittimità costituzionale del decreto Bonafede.

Parliamo dell’ordinanza che invia gli atti alla Consulta per quanto riguarda il caso Pasquale Zagaria, che aveva ottenuto il beneficio della detenzione domiciliare in provincia di Brescia.

Sono, per il momento, due i casi che arrivano alla Corte costituzionale, sollevando problemi di legittimità del decreto Bonafede nato su spinta delle polemiche relative alle “scarcerazioni“ (termine non corretto, perché si tratta di detenzione domiciliare per motivi di salute) di circa 500 detenuti che si sono macchiati di reati per mafia. Qualche settimana fa la questione era stata sollevata dal magistrato di sorveglianza di Spoleto Fabio Gianfilippi. Ora è la volta del tribunale di sorveglianza di Sassari, ordinanza a firma dei magistrati Ida Aurelia Soro e Riccardo De Vito.

Sono diversi i profili di dubbia legittimità costituzionale rilevata. L’obbligo di rivalutazione della detenzione domiciliare, entro quindici giorni e poi a cadenza mensile, ad avviso del tribunale di Sassari «invade la sfera di competenza riservata all’autorità giudiziaria e viola il principio di separazione dei poteri, tanto più in quanto applicata retroattivamente ai provvedimenti già adottati dal tribunale a decorrere dal 23 febbraio» Il problema temporale non è da poco. Aver imposto una ferrea scansione temporale crea diversi problemi. Quali? È sempre il tribunale di sorveglianza a spiegarlo nell’ordinanza. Il perimetro temporale ristretto e la conseguente impossibilità di un’adeguata istruttoria sulle condizioni di salute «impediscono – scrivono i giudici - di mettere a frutto lo spiraglio letterale contenuto nel penultimo periodo dell’articolo 2 del decreto Bonafede, laddove si precisa che l’autorità giudiziaria – il magistrato o il tribunale di sorveglianza – provvede valutando, oltre ai motivi legati all’emergenza sanitaria, la “disponibilità di altre strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta idonei ad evitare il pregiudizio per la salute del detenuto o dell’internato”».

Nel caso di Zagaria c’è un esempio pratico. Nella vicenda che ha condotto alla sua detenzione domiciliare, l’emergenza da Covid 19 viene in rilievo, in un secondo momento, non quale causa della scarcerazione in ragione della maggiore vulnerabilità del paziente in caso di eventuale contrazione della malattia, ma principalmente quale fattore impeditivo della cura in ambito intramurario di una patologia tumorale: una neoplasia vescicale, classificabile come carcinoma papillifero di basso e focalmente di alto grado. La pandemia ha assunto rilevanza - unitamente alla mancata individuazione di un istituto penitenziario dotato di centro clinico o prossimo a struttura ospedaliera idonea – perché ha determinato l’impossibilità di curare la patologia del paziente in ambito intramurario.

A seguito del decreto Bonafede il Dap ha individuato una struttura per loro adatta e per questo, entro 15 giorni, l’ufficio di sorveglianza si è ritrovato costretto a dover valutare.

Tuttavia, ad oggi, il quadro clinico è in attesa della definizione correlata dagli esiti dell’esame istologico. Allo stato, scrivono sempre i giudici, «non essendo stabilizzato il quadro clinico e diagnostico, l’ufficio di sorveglianza non può valutare l’idoneità delle strutture indicate dal Dap». In sostanza il decreto Bonafede non permette di realizzare serenamente il bilanciamento tra esigenze di tutela della collettività e principio di umanità della pena. Ovvero, a causa dell’imposizione temporale, il decreto Bonafede non permette al giudice di «valutare compiutamente l’intera situazione». Il decreto, secondo l’ufficio di sorveglianza di Sassari, rompe quel delicato equilibrio tra diritto alla salute e umanizzazione della pena da un lato ed esigenze di sicurezza della collettività dall’altro. Il condannato malato, già ammesso a una misura domiciliare idonea a garantirgli il diritto di potersi curare per un certo intervallo temporale, viene improvvisamente a trovarsi sottoposto a una reiterata e continua verifica della permanenza dei presupposti della misura stessa. Sempre nel caso specifico, Pasquale Zagaria nel frattempo ha avuto un malore ed è stato ricoverato. Ha intrapreso un percorso terapeutico e ancora non è chiaro tutto l’esame diagnostico. Come può la magistratura di sorveglianza – a maggior ragione dopo il ricovero per malore – valutare pienamente l’idoneità della struttura indicata dal Dap? È costituzionalmente legittimo che un decreto legge lo imponga? Ora di tutto questo se ne occuperà la Consulta grazie all’ordinanza del tribunale di Sassari a firma della presidente Ida Soro e del magistrato Riccardo De Vito.