Momenti di grande paura nel nuovo carcere sardo di Uta. Un detenuto, affetto da Aids e con gravi problemi psichiatrici, ha aggredito improvvisamente gli agenti con pugni, morsi e graffi nel volto di tre agenti mentre si accingevano a perquisire la cella in cui era collocato. Solo con l'intervento della sorveglianza generale e di altri agenti si è riusciti a bloccare l'azione violenta. Il caso di cronaca rischia di non diventare più un eccezione. «Il carcere di Uta - denuncia la segreteria della Uil Pa Polizia Penitenziaria - pare sia stato individuato dai vertici dell'amministrazione regionale come contenitore per i detenuti problematici che arrivano ormai senza tregua dagli altri Istituti della Sardegna e della penisola». Il sindacato denuncia il fatto che stanno concentrando nel nuovo carcere un numero elevato di detenuti che nei precedenti istituti hanno già aggredito il personale o hanno creato gravi problemi alla sicurezza. Il sindacato della Uil chiosa: «Considerando che già sono ristretti numerosi detenuti con problemi psichiatrici, significa creare una miscela esplosiva che il numero esiguo di poliziotti in servizio nelle sezioni non può oggettivamente contrastare».Dall'altro canto, Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme" con riferimento all'aggressione subita da tre agenti della polizia penitenziaria in servizio, così ha spiegato: «Nell'esprimere solidarietà agli agenti, non si può non rilevare che un ammalato di Aids non può restare dietro le sbarre. E' anche vero che la Rems (Residenza per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria) non è sufficiente, occorre predisporre case-famiglia diversificate rispetto ai disturbi psichiatrici e ricordare che il carcere è l'estrema ratio non la prassi per confinare persone le cui condizioni psichiche e fisiche non sono stabili e spesso a rischio di atti estremi di autolesionismo. Disporre di strutture differenziate a seconda delle problematiche psichiatriche individuali significa promuovere prevenzione sociale e creare posti di lavoro per i giovani laureati e specializzati con lo scopo di restituire a ciascun paziente-detenuto possibilmente un equilibrio senza dimenticare che finita di scontare la pena nella maggior parte dei casi le famiglie non sono in grado di gestire situazioni così estreme». La presidente di Sdr sottolinea anche che sia sbagliato trasferire da un carcere all'altro detenute e detenuti che hanno gravi problemi di salute mentale: «La prassi del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, utilizzata anche a livello regionale, di "alleggerire" temporaneamente le strutture mandando da un penitenziario all'altro i malati psichiatrici in assenza di utili alternative rischia di rendere più aggressive le persone ammalate con conseguenze spesso non prevedibili».A proposito dell'Aids, ricordiamo che negli istituti penitenziari è una vera e propria epidemia: in carcere una persona su tre è malata. Spesso senza saperlo. E se la notizia trapela, essere sieropositivo in carcere è come vivere un incubo dentro un altro incubo: l'hiv non è una patologia come un'altra, ma è oppressa dallo stigma sociale e dalla mediocrità delle informazioni; se si aggiunge il carcere, il risultato è spaventoso. Un terzo ignora di soffrire di una patologia, ritardando così l'assunzione di farmaci e rischiando di contribuire inconsapevolmente alla diffusione. Per coloro che vengono curati, sorgono altri problemi. Non di rado i detenuti cambiano la terapia perché vengono trasferiti in altre carceri: cambiare carcere, nella maggior parte dei casi, vuol dire cambiare terapia e di conseguenza la cura risulta inefficace. Ma accade anche che la terapia venga interrotta e ciò significa far aumentare la carica virale dell'Hiv. Il virus si riproduce velocemente e la non aderenza fa la differenza tra una patologia tenuta sotto controllo e una patologia che rischia di diventare incontrollabile. Rimane comunque il dato oggettivo - specificato anche dalla relazione del ministero della salute - che l'assistenza infettivologica in molte realtà penitenziarie è ancora fornita in maniera occasionale e spesso solo su richiesta di visita specialistica da parte delle Unità Operative di assistenza penitenziaria.